L’amore del capitano Bongiorno per la moglie, la “diletta e adorata Iole”, emerge con intensità unica dalle lettere che le scrive da Bombay, dove è stato deportato in un campo di prigionia. Cinque anni di vita segnati dalle privazioni, dalla scarsità di notizie da casa e dalle continue richieste di rimpatrio, trovano sollievo nella scrittura: la domenica, con la puntualità che è la sola condizione per alleviare il dolore, Giorgio affida se stesso, con le preoccupazioni per Iole e i sette figli, le raccomandazioni, gli aggiornamenti sulla sua situazione, la rabbia per la lentezza del servizio postale e l’indifferenza delle istituzioni, a pagine che prendono e donano vita. Un calvario che si conclude alla fine del 1945, con il rientro a casa e la consapevolezza che il “Rinnovarsi è una necessità di vita”.