“Marzo o Aprile 1911; in quell’epoca all’incirca è accaduto quanto sto per raccontarvi. La giornata era bellissima; una delle prime di primavera, assolata e calda; di quelle che danno un senso di languore, di spossatezza, insieme alla gioiosa impressione di essere ormai fuori dall’inverno. Mio nonno, l’ingegnere architetto, doveva andare a sorvegliare se i lavori delle fognature di Via Marmorata procedessero a dovere. Era ingegnere al Comune e svolgeva i suoi compiti d’ufficio. Non so se a mia nonna o a mia madre venne l’idea di proporgli di portarmi con sé; io non avevo ancora sei anni; ero bellino ed elegantissimo, perché mia madre vestiva sempre me e mio fratello nel modo più accurato, alla moda, e qualche volta anche con delle sue idee, che erano però sempre piene di buon gusto. Forse mio nonno, lusingato dall’orgoglio di portarsi un nipotino attraente, accettò e ci mettemmo in cammino […]”
La memoria di Piero Modigliani è un libro aperto su un mondo che non esiste più, un’epoca nemmeno troppo lontana fatta di oggetti, luoghi e abitudini che ci appartengono, ma sono sparite. Sparite come la Roma in cui è nato e cresciuto, all’inizio del ‘900: di origini ebraiche, Modigliani racconta la vita nei quartieri del centro storico prima della rivoluzione urbanistica voluta dal fascismo, con uno sguardo particolare sulla realtà del ghetto romano di inizio secolo. Nei suoi ricordi, trovano spazio pagine di storia memorabili come quella sul giorno dell’armistizio della Prima guerra mondiale: Per la strada udii, provenienti da via Nazionale, degli strilloni che urlavano a squarciagola una notizia di cui non capii il senso, se non avvicinandomi da via Genova e afferrai le parole, nel trambusto e nel movimento della gente che sembrava impazzita: “È finita la guerra! È stato firmato l’armistizio con l’Austria!” Fui talmente elettrizzato che non sentii più nessuna debolezza alle gambe, corsi a casa salendo rapidamente le scale (fortunatamente abitavamo al primo piano) ed entrai a casa urlando: “Papà, la bandiera!”. Questa bandiera era stata preparata da anni; ma mio padre aveva dichiarato che sarebbe stata esposta solo il giorno in cui la guerra sarebbe stata finita vittoriosamente. Finalmente quel giorno era arrivato e potei vederla sventolare all’ultima luce del pomeriggio. E poi c’è il Tevere, il fiume che attraversa la capitale nel quale Piero, da ragazzo, nuota spensieratamente. Le lunghe giornate passate in canoa a risalire e ridiscendere la corrente, tra Ponte Milvio e l’Acqua Acetosa, cesseranno solo dopo un drammatico incidente, quando il suo più caro amico, Sergio, perderà la vita per un contagio da leptospirosi contratto proprio nelle acque del fiume.