In un giorno di aprile o maggio del 1954, il ventenne Antonio Cocco nato a Padova e cresciuto a Venezia, muore difendendo la Ridotta Isabelle a Dien Bien Puh, in Vietnam, combattendo sotto la bandiera della Legione Straniera francese la guerra d’Indocina.
Fa rabbia la storia che raccontano 165 lettere spedite alla famiglia in due anni. Anelli di una catena ininterrotta di episodi soffocanti e incontrovertibili. Il 24 maggio 1952 Antonio è ancora seduto sui banchi di scuola, terzo anno di ragioneria, a un passo dagli affetti di casa. Un’interrogazione andata male, la minaccia di una bocciatura, un gesto di ribellione. E una scelta impulsiva, enorme. Scappare in Francia in compagnia di un amico e arruolarsi nella Legione Straniera. L’addestramento feroce, le punizioni e le violenze faranno rimpiangere ad Antonio, ogni giorno, la scelta compiuta. Ma tornare indietro è impresa impossibile. Antonio va in prima linea nell’ottobre del 1952.
MOTIVAZIONE DELLA GIURIA NAZIONALE:
Il Premio Pieve Saverio Tutino 2017 è stato assegnato ad Antonio Cocco per Ridotta Isabelle (epistolario 1952-1954):
A 18 anni, dopo un litigio con un professore, Antonio scappa di casa ed espatria illegalmente in Francia. Assetato di libertà e di avventure, si arruola nella Legione Straniera. Non immagina neanche lontanamente che la sua scelta sarà irreversibile. Gli restano poco più di due anni di vita. Le lettere che invia la padre, alla madre, ai suoi numerosi fratelli, prima dal deserto dell’Algeria poi dagli avamposti del Vietnam, raccontano con freschezza, innocenza e ferocia il durissimo addestramento e la realtà della guerra sulle montagne e nella foresta tropicale. Disegnano così la storia di una imprevedibile maturazione che fa del giamburrasca ragazzino un uomo e un soldato.
Scritte tra una marcia e un massacro, in un italiano ribelle sempre più contaminato dalle lingue parlate nel plotone, colpiscono per la novità dell’ambientazione nel mondo a parte della Legione Straniera, per l’ambiguità del narratore (tanto affascinato dal coraggio dei nemici quanto incapace di riconoscere in loro altro che dei “selvaggi”; tanto cameratesco con il padre quanto reticente con la madre), per lo stupore delle descrizioni della natura che lo circonda, ma soprattutto per le verità disadorne del suo racconto dall’interno di una guerra molto seguita dalla stampa e dalla cinematografia, ma pressoché inedita nella scrittura italiana.