“5 luglio 1969 Leggevo “Estate ’69″6 di Feltrinelli. Divoravo l’opuscoletto del nostro moderno Don Chisciotte; ci si sentiva tutto il patetico difensore italiano del “Che”. Volevo fare bella figura parlandone con alcuni miei nipoti, studenti, che stavano per arrivare dal Mugello. Loro, insieme con il loro parentado romano, sono fanatici contestatori. Partecipano regolarmente a tutte le manifestazioni antiamerica e quando c’è uno sciopero, lasciano lo studio e vanno all’ingresso delle fabbriche; si sono specializzati nell’azione di picchettaggio. La contestazione è la moda di questa calda estate […]”
Ottorino Orlandini non è un “italiano qualunque”, uno di quegli autori di diari o di memorie che attraverso l’Archivio di Pieve Santo Stefano riescono a sprigionare una voce altrimenti destinata a rimanere nell’oblio della storia. Già combattente nella Prima guerra mondiale, sindacalista a capo delle Leghe Bianche nel Mugello a partire dal 1919, poi volontario nella guerra di Spagna sotto la bandiera di Giustizia e Libertà con Carlo Rosselli, e ancora antifascista, confinato in Francia e partigiano alla guida delle formazioni del Partito d’Azione in Toscana: Orlandini è stato un grande protagonista della storia italiana del ‘900. La sua biografia è oggetto di studio e in gran parte nota, ma tra gli anni Cinquanta e Sessanta è lo stesso Ottorino ad avvertire il bisogno di scrivere un memoriale, da lasciare in eredità ai familiari e non solo, per rendere eterno il racconto dei fatti salienti della sua vita, ma soprattutto l’intensità e l’importanza delle emozioni provate. Seguendo questo affascinante criterio, e dopo diverse stesure, nascono i 32 capitoli della sua memoria, sganciati da un rigoroso ordine cronologico, ma fortemente incardinati nei passaggi cruciali della sua vita. Ogni capitolo, ogni risvolto di vita, viene introdotto da Orlandini partendo dall’attualità in cui scrive, nell’anno 1969 in cui pone mano all’ultima versione della sua memoria. Poi velocemente il nastro si avvolge fino a riportare il lettore ad un altro punto saliente del racconto. Come quella volta che combattendo in Spagna, nonostante i dissapori con i comunisti, l’amicizia e il sorriso di un grande uomo restituiscono un senso ai sacrifici compiuti in nome della giustizia, e della libertà: In poche ore rioccupammo varie alture ai fianchi ed andammo anche oltre le posizioni perdute. Alla notte mi accorsi che comandavo tutto un settore presidiato da oltre duemila uomini; mi accorsi che il gruppo italiano si era trasformato in un piccolo stato maggiore; mi accorsi che avevo alle mie dipendenze dei reparti dell’esercito regolare spagnolo, con relativi ufficiali e numerose centurie di volontari spagnoli con i relativi capicenturia. La notizia della strepitosa vittoria del 5° scaglione era intanto arrivata anche alla colonna italiana, distante da lì una trentina chilometri. Venne Carlo Rosselli a stringermi cordialmente la mano e mi disse, sorridendo: “Bravo Colonnello!”. Il buono e caldo sorriso di Carlo Rosselli, sulle montagne di Aragona, fu una delle poche grandi soddisfazioni avute durante tutta la guerra di Spagna.