Grazie al buon latte della mamma, crescevo bene, e presto diventai paffutella. Papà chiese di mandargli una mia foto, voleva conoscermi, almeno sul ritratto. Così, una mattina, dopo il bagno mi vestì a festa e mi portò dal fotografo per farmi la fotografia che doveva mandare a papà. Quella foto l’ho io, papà la fece rifare in America sulla latta, così resterà sempre lucida e bella. Avevo dieci mesi. Trascorreranno altri due anni prima che Francesca Ingoglia, nata nel 1924 a Partanna in Sicilia in provincia di Trapani, incontri il padre Giuseppe, uno dei milioni di emigranti italiani che hanno fatto la spola con gli Stati Uniti nel corso del ‘900. Francesca, al pari di genitori, fratelli, cugini e zii, vivrà due vite in una: la prima radicata nella campagna dell’entroterra siciliano tra sacrifici duri e tradizioni millenarie, il lavoro più pesante era quello della trebbiatura. Si doveva prima preparare l’aia nella parte del terreno dove soffiava di più il vento, poi si doveva schiacciare un grande cerchio di terra bagnato e battuto con mazze fino a portare l’aia dura come marmo perché lì si raccoglieva il frumento dopo la trebbiatura. L’altra vita ambientata a New York, dove le enormi fatiche quotidiane vengono ricompensate con i primi bagliori di un benessere che nel corso del secolo diventerà patrimonio comune, anche delle classi meno abbienti. La casa era molto bella e bene arredata, ma la grande sorpresa per noi è stata quella di vedere per la prima volta il televisore uno dei primissimi che erano in vendita; di fatti era costato 1000 dollari. Il mobile era molto grande e fatto di bellissimo legno; lo schermo era piccolo: 20 cm per 26. Noi siamo rimasti sbalorditi a guardare. Francesca ama la sua terra d’origine e ha radici salde che la legano alla casa e alla famiglia, ma si trova a meraviglia in quel Paese lontano che offre a tutti, lei compresa, ottime opportunità di lavoro, una vita più agiata, il lusso di concedersi qualche svago e persino di realizzare, con i soldi risparmiati, il sogno di intraprendere un viaggio in Europa. Al termine del quale, di passaggio a Partanna prima di tornare in America, avviene un incontro inaspettato: Un giorno, camminavamo nel corso Vittorio Emanuele con mio cognato dirigendoci verso casa, Salvatore vide un signore col quale doveva parlare e mi pregò di aspettarlo un attimo. Seduti lì erano tutti uomini, era normale che guardassero la ragazza americana, ferma in mezzo alla strada. Fra i tanti c’era seduto anche Pietro Caracci, che si piegò in avanti per guardarmi meglio. Pur conoscendosi appena, e pur se divisi da un oceano, Francesca e Pietro convolano a nozze portando all’altare un malinteso di fondo che li accompagnerà per tutta la vita: lei non ha dubbi che il loro futuro sia in America, lui sotto sotto confida di tornare a Partanna dove ha intrapreso la carriera di insegnante. Io non ero contenta, non volevo ritornare in Italia e lui mi aveva promesso che non saremmo più ritornati. Soffrivo tanto, lo rimproveravo per avermi ingannata, ma nonostante tutto, neppure per un attimo, ho pensato di lasciarlo, di separarmi da lui. Dopo aver vissuto periodi di gioia e difficoltà da una parte e dell’altra dell’oceano, a partire dal 1965 la coppia insieme alle figlie Marie Francine e Vita Italia si stabilisce a Milano, dove Francesca mette a frutto la sua conoscenza dell’inglese nell’insegnamento ai bambini. Da lì Francesca riparte e inizia una nuova vita con l’entusiasmo e il coraggio che la contraddistinguono.