PREMIO PIEVE

Giuria nazionale 2025

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Camillo Brezzi

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Gabriella D’Ina

dal 2024

Luca Formenton

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Patrizia Gabrielli

dal 2012

Paola Gallo

dal 1998

Antonio Gibelli

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Roberta Marchetti

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Annalena Monetti

dal 1995

Maria Rita Parsi

dal 2012

Stefano Pivato

dal 2011

Sara Ragusa

Anno per anno

Guido Barbieri, Camillo Brezzi, Natalia Cangi, Gabriella D’Ina, Luca Fromenton, Patrizia Gabrielli, Paola Gallo, Antonio Gibelli, Roberta Marchetti, Melania G. Mazzucco, Annalena Monetti, Maria Rita Parsi, Stefano Pivato, Sara Ragusa  

MOTIVAZIONE:
La vincitrice del Premio Pieve Saverio Tutino 2024 è Albertina Castellazzi, con il testo
Fendevo l’aria.
Nata a Milano nel 1937, la vita dell’autrice inizia in salita. Nel 1941, quando ha solo quattro
anni, muore la madre e Albertina resta con il padre e tre sorelle a far fronte al difficile
periodo della Seconda guerra mondiale. Il padre è un sottufficiale e non può occuparsi da
solo delle figlie, che vengono così mandate in collegio, dalle Orsoline a Modena e poi a
Ligorzano, in uno stabile che dovranno condividere con gli occupanti tedeschi.
Albertina racconta le pieghe della guerra civile con uno stile assolutamente personale, di
una precisione chirurgica, fatto di flash fulminei e dettagli ad alta definizione. Memorabile la
pagina che descrive senza eufemismi l’uccisione degli zii dopo l’armistizio perché ritenuti
collaboratori dei nazisti. La fine della guerra vede il ritorno delle figlie in una Milano dove
mancava la luce, il cibo, la stoffa per i vestiti, ma è anche una città alle soglie di una
grandissima trasformazione.
In questa straordinaria memoria, che ha lo stesso passo di un romanzo di formazione, lo
sguardo di Albertina sul padre è di particolare interesse. Lui è volitivo, perentorio, un uomo
forte che impone regole ferree ma non riesce a tenere unita la famiglia, che piano piano si
sgretola. La sorella maggiore, Elisabetta, scappa, mentre Piera, malata di depressione, si
suicida nel 1956. Albertina, che soffre di episodi di epilessia, stenta negli studi e sembra
destinata a un ruolo marginale, a lasciare la scuola per custodire la casa. Ma a quella gabbia
si ribella: ama leggere e scrivere, e anche grazie alla forza che trae dall’amore per i libri,
lotta per ottenere un diploma magistrale per insegnare alla materna. Questo impiego sarà il
primo passo di un’emancipazione che passa anche per la morte del padre, nel 1958, e che
tesse un legame strettissimo con la sorella che le rimane accanto.
“Cominciammo così la nostra vita di donne libere, io avevo 21 anni, Anna 24.”


La giuria ha deciso di assegnare una menzione speciale a un’altra autobiografia, Ricordi di
un nomade, di Giovanni Stefanolo (San Marzano Oliveto, Asti, 1880-1940), il racconto
picaresco di una vita sempre in movimento. Primogenito di quattro figli, sembra portato allo
studio e il padre decide di mandarlo in collegio ad Asti. Ma Giovanni è un personaggio a
metà tra Pinocchio e Giamburrasca e naturalmente non riesce a stare alle regole di
disciplina del collegio. Dalla prima fuga, inizia un movimento continuo tra luoghi e lavori che
lo porterà a fare il calzolaio, il pasticcere, il muratore, il cameriere, il contabile, l’ufficiale
dell’esercito, l’imprenditore. Da Asti si sposta a Nizza, poi in Argentina e in Brasile, in un
vortice di tentativi, spesso fallimentari, di trovare un impiego soddisfacente e redditizio.
Intanto si sposa, ha due figli, risponde alla chiamata della Patria quando scoppia la Prima
guerra mondiale. Ma riesce a tornare anche dalle trincee per ricominciare quella “vita
battagliata” che racconta con tanta vivezza.

Guido Barbieri, Camillo Brezzi, Natalia Cangi, Gabriella D’Ina, Patrizia Gabrielli, Paola Gallo, Antonio Gibelli, Roberta Marchetti, Melania G. Mazzucco, Annalena Monetti, Maria Rita Parsi, Stefano Pivato, Sara Ragusa  

MOTIVAZIONE:
Il Premio Pieve Saverio Tutino 2023 è stato attribuito a Paola Tellaroli per Tutta la polvere del mondo in faccia (memoria 2017-2022):
Paola ha 31 anni, è una giovane donna piena di iniziative, di sogni, determinata. È assegnista in biostatistica, ha un compagno, si sente “in motorino con il vento tra i capelli, le mani alzate prima dello schianto”. Lo schianto arriva la sera del 14 febbraio quando un grumo di sangue si deposita nel cervello di Paola. È vittima di un ictus ischemico cerebrale, ma nessuno può ancora immaginarlo. Al pronto soccorso la diagnosi corretta arriva dopo nove lunghe ore. Al risveglio scopre progressivamente i danni che ha subito il suo corpo: la paralisi della parte destra, l’impossibilità di comunicare. Ma Paola non si scoraggia e comincia un lungo cammino di riabilitazione, reso possibile anche dalla vicinanza degli affetti, del compagno e degli amici, un “branco di delfini” che le ha dato la forza necessaria. Questo assaggio di mortalità le fa capire di non essere invincibile, bensi vulnerabile come tutti.
Paola ci consegna un diario del presente pieno di ironia e di capacità di autoanalisi, oltre che una lucida critica verso la burocrazia del sistema sanitario. A cinque anni dall’ictus, è pronta a riprendere la strada che si era bruscamente interrotta: prepara lo zaino e parte per l’Amazzonia.

Guido Barbieri, Camillo Brezzi, Natalia Cangi, Gabriella D’Ina, Patrizia Gabrielli, Paola Gallo, Antonio Gibelli, Roberta Marchetti, Melania G. Mazzucco, Annalena Monetti, Maria Rita Parsi, Stefano Pivato, Sara Ragusa

MOTIVAZIONE:
Il Premio Pieve Saverio Tutino 2022 è stato attribuito ad Ado Clocchiatti con Addio patria matrigna (memoria 1883-1916):
In questa memoria di una vita breve e struggente, scritta con una intensità che coinvolge e commuove, emergono la saggezza e la rassegnazione di un vinto che sa di non poter cambiare il proprio destino.
Durante la Prima Guerra mondiale, Ado, da pochi anni sposo e padre, forse presagendo che non riuscirà a tornare a casa (morirà di spagnola nel 1918) decide di raccontare la sua storia. Friulano, nato in una famiglia poverissima nel 1883 a Pasian di Prato, nonostante sia uno dei migliori allievi della scuola elementare deve iniziare a lavorare ad appena 10 anni per contribuire al sostentamento della famiglia. Ma il lavoro non c’è e inizia così una lunga storia di migrazione stagionale in Germania e nel vicino Impero austro ungarico. Ado ci racconta dall’interno la tragedia dello sfruttamento minorile, perché i bambini vengono messi a lavorare in condizioni terribili. Maltrattamenti, fame e violenze fisiche erano quotidiane. “Un povero per vivere deve soffocare l’amore e viene condannato a vivere come la bestia, lavorare, mangiare, se un povero avesse i sentimenti di divenire un uomo, per mancanza di mezzi deve rimanere ignorante, così va il mondo.
Ma Ado diventerà un uomo, fin troppo presto. Lavorerà sempre, perché i genitori malati non riescono a provvedere alla famiglia. C’è un movimento continuo di partenze e ritorni. Più si rende conto della fragilità dei genitori, più il giovanissimo Ado si assume quasi il compito di tenere insieme i suoi cari. Ma la speranza di restare uniti viene continuamente frustrata dalla mancanza di lavoro. Il legame con il padre diventa inscindibile. Emigrano e cercano di trovare lavoro negli stessi cantieri, passando per Vienna e Abbazia dove scoprono le bellezze dell’archittettura, delle città e del mare che gli era sempre stata negata. Il rapporto di protezione reciproca via via si rovescia perché diventa il più giovane a prendersi cura dell’altro: per il padre sfinito nel corpo e nella mente si aprono le porte del manicomio. “Io facevo quei muri, proprio quella casa, che in compagnia di quei poveri dementi che dovevano entrarvi era pure destinato il mio buon padre!
Il destino non vuole dare tregua ad Ado: anche se non gli rimangono molte “pagine di vita” da scrivere, la sua testimonianza brilla per profondità e umanità e riscatta la brutalità dell’esistenza a cui è stato condannato.

Guido Barbieri, Camillo Brezzi, Natalia Cangi, Gabriella D’Ina, Patrizia Gabrielli, Paola Gallo, Antonio Gibelli, Roberta Marchetti, Melania G. Mazzucco, Annalena Monetti, Maria Rita Parsi, Stefano Pivato, Sara Ragusa

MOTIVAZIONE:
Il Premio Pieve Saverio Tutino 2021 è stato attribuito a Furio Aceto per La via della libertà (memoria 1943-1985):
La selezione di storie finaliste di quest’anno, che si segnala per una particolare varietà, ci ha rivelato scorci e scenari storici inediti. L’arco cronologico toccato va dal 1848 ai giorni nostri, e abbraccia interessi diversissimi, dall’amore per la storia dell’arte fino alla passione per la politica.
Il vincitore del Premio Pieve del 2021 è Furio Aceto, nato a Saluzzo nel 1921 e morto nel 2020. Ufficiale di Cavalleria del Regio Esercito durante la Seconda guerra mondiale, viene richiamato a Roma all’indomani dell’8 settembre. Essendo un ufficiale, sarebbe bastata una semplice firma di adesione formale alla Repubblica di Salò a garantirgli la sicurezza e il ritorno in famiglia. Ma la coerenza con i suoi ideali e la sua dirittura morale gli fanno scegliere la via della montagna. Torna nelle valli piemontesi in cui è nato e raggiunge il fratello Flavio, comandate partigiano. È il preludio di una stagione di sofferenze ma anche di grandi entusiasmi, che lo porterà a guidare la Brigata dell’Ordine come vice comandante nella liberazione di Savona.
Il legame strettissimo con la moglie, e poi con la figlia che nasce, è il cuore caldo di questa storia di guerra. Furio ci racconta con una prosa lucida delle battaglie, delle fatiche e delle glorie della montagna, e la sua scrittura diventa appassionata quando lo sguardo si volge agli affetti. Non mancano momenti comici e rocamboleschi come quando fa infilare la moglie travestita da soldato in un carro armato pur di tenerla vicina. Conquista in questo diario la forza prorompente e un po’ incosciente della giovinezza, che si accompagna a un forte senso di appartenenza alla patria.

Guido Barbieri, Camillo Brezzi, Natalia Cangi, Gabriella D’Ina, Beppe Del Colle, Patrizia Gabrielli, Paola Gallo, Antonio Gibelli, Roberta Marchetti, Melania G. Mazzucco, Annalena Monetti, Maria Rita Parsi, Stefano Pivato, Sara Ragusa, Nicola Tranfaglia

MOTIVAZIONE:
Il Premio Pieve Saverio Tutino 2020 è stato attribuito a Tanya Ferrucci per Nei miei okki  (autobiografia 1960-2010):
Tania Ferrucci ci consegna una storia autobiografica di denuncia, scritta con piglio audace e rivendicativo, chiamando a testimone più volte il lettore e interrogandone la coscienza.
Tania è nata nei bassifondi di Napoli nel 1960 in una famiglia disastrata. Il suo corpo è quello di un maschio, anche se fin da piccola si sente “bambina dentro”. Conosce presto la violenza, finisce in orfanotrofio e a tredici anni inizia a prostituirsi per sopravvivere e guadagnare i soldi che le serviranno per realizzare il suo sogno, la costosa operazione di cambio di sesso, che farà a ventisei anni. Diventa una bellissima donna e lavora come ragazza immagine nelle discoteche. Qui incontra alcol e droghe, a cui non sa sottrarsi, ma anche ricchezza e macchine potenti. È ammirata da molti, ma non trova mai risposta al suo più profondo desiderio: quello di conoscere “l’amorevitamia”, un uomo che la ami incondizionatamente. A trentanove anni, nel 1999, entra nelle comunità Saman dove comincia un percorso di disintossicazione e recupero che finirà nel 2010. Da ospite diventa collaboratrice della comunità, per cui lavora ancora oggi.
Il coraggio di ripercorrere la sua storia placa, in parte, gli interrogativi ai quali non darà mai risposta: perché è diversa, come si fa ad essere amati, perché la madre è stata così indifferente e feroce con lei. Trova nella scrittura un riscatto che dà senso al suo passato.
La giuria segnala con menzione speciale la vicenda intensa e dolorosa di Anna De Simone. La qualità e la forza della scrittura di questa autobiografia, in cui l’autrice non fa sconti e non chiede comprensione, rispecchiano un percorso di maturazione e di profonda conoscenza di sé e del suo mondo emozionale e affettivo. Anna ha perso la voce a causa di una malattia, queste pagine sono oggi il suo unico mezzo per raccontarsi.

Guido Barbieri, Camillo Brezzi, Natalia Cangi, Pietro Clemente, Gabriella D’Ina, Beppe Del Colle, Patrizia Gabrielli, Paola Gallo, Antonio Gibelli, Roberta Marchetti, Melania G. Mazzucco, Annalena Monetti, Maria Rita Parsi, Sara Ragusa, Stefano Pivato, Nicola Tranfaglia

MOTIVAZIONE:
Il Premio Pieve Saverio Tutino 2019 è stato assegnato a Eugenia Dal Bò per Figlia del Risorgimento (autobiografia 1867-1943):
Lo scritto di Eugenia Dal Bò (1867-1943) è un racconto appassionante che prende l’avvio dalle vicende del padre, che paga con la prigionia austriaca il suo patriottismo, e si snoda fino al crepuscolo del regime fascista.
Educata al senso della patria e alla passione per la cultura, Eugenia farà delle scelte audaci per la sua epoca. Come studentessa di liceo e università, sarà isolata, unica donna in un mondo maschile: i compagni, i professori non accettano facilmente la sua anomala presenza ed ella fatica non poco ad abbattere i pregiudizi e a conquistare il diritto allo studio. A fine Ottocento, si laurea in Lettere a Napoli, unica donna del suo corso. Riesce ad affermarsi come studiosa di Dante e conferenziera, e in qualità di insegnante gira l’Italia in lungo e in largo.
Dall’incontro con Gherardo Pantano, ufficiale dei bersaglieri e poi generale, nasce una storia d’amore lunga tutta la vita. I due si sposano dopo un decennale fidanzamento e condividono un rapporto paritario piuttosto inusuale per quegli anni.
Sempre al suo fianco, Eugenia viaggia, vive nelle colonie e diventa crocerossina per seguirlo al fronte nella Prima guerra mondiale.
Una scrittura affascinante e intensa che ci restituisce la figura di una donna mai dimentica dell’intensità degli affetti famigliari. Protagonista senza retorica di pagine importanti della storia italiana, la sua memoria ci consegna un ritratto raro e significativo di una persona dalla forte fibra morale capace di posizioni coraggiose e libere.

Guido Barbieri, Camillo Brezzi, Natalia Cangi, Pietro Clemente, Gabriella D’Ina, Beppe Del Colle, Patrizia Gabrielli, Paola Gallo, Antonio Gibelli, Lisa Ginzburg, Roberta Marchetti, Melania G. Mazzucco, Annalena Monetti, Maria Rita Parsi, Sara Ragusa, Stefano Pivato, Nicola Tranfaglia

MOTIVAZIONE:
Il Premio Pieve Saverio Tutino 2018 è stato assegnato a Luca Pellegrini per Il mare insegna (memoria 1831-1850):
Nato nel 1806 in una famiglia agiata, dopo l’improvvisa morte del padre notaio deve rivedere le sue prospettive di vita. Abbandonati gli studi, a 16 anni si imbarca come mozzo su un piccolo veliero. Dal golfo di Trieste arriva a Smirne e a Costantinopoli, naufraga, riparte per l’Africa e il Sud America. Segue in prima persona il progresso tecnico che porta dalle navi a vela a quelle a vapore, e in soli quattordici anni diventa capitano di una delle prime che solca il Mediterraneo.
Da ognuno di questi viaggi riporta racconti eccezionali. Lo sguardo curioso di un uomo libero dai preconcetti del suo tempo è la cifra che contraddistingue questa narrazione rispetto a memorie analoghe dell’Ottocento. Mirabili in particolare le considerazioni e la condanna della schiavitù dei neri nelle grandi piantagioni brasiliane, come le riflessioni sulla religione. Senza dimenticare il piglio antropologico con cui si stupisce davanti agli usi e i costumi delle popolazioni che incontra, dal Marocco alla Grecia passando per il Brasile e il Medio Oriente. Non perde occasione, nelle città in cui sbarca, di notare le bellezze artistiche, ma neppure quelle femminili, regalandoci bellissime pagine romanzesche esaltate da un linguaggio vivace arricchito da parole dal forte gusto ottocentesco.
Le avventure per mare che ci ha lasciato Luca Pellegrini sono pervase da uno spirito critico straordinario, unica chiave che, anche nel mondo contemporaneo, possa dirsi valida per indagare il proprio tempo vivendolo da protagonista.

Guido Barbieri, Camillo Brezzi, Natalia Cangi, Pietro Clemente, Gabriella D’Ina, Beppe Del Colle, Vittorio Dini, Patrizia Gabrielli, Paola Gallo, Antonio Gibelli, Lisa Ginzburg, Roberta Marchetti, Melania G. Mazzucco, Annalena Monetti, Maria Rita Parsi, Sara Ragusa, Stefano Pivato, Nicola Tranfaglia

MOTIVAZIONE:
Il Premio Pieve Saverio Tutino 2017 è stato assegnato ad Antonio Cocco per Ridotta Isabelle (epistolario 1952-1954): 
A 18 anni, dopo un litigio con un professore, Antonio scappa di casa ed espatria illegalmente in Francia. Assetato di libertà e di avventure, si arruola nella Legione Straniera. Non immagina neanche lontanamente che la sua scelta sarà irreversibile. Gli restano poco più di due anni di vita. Le lettere che invia la padre, alla madre, ai suoi numerosi fratelli, prima dal deserto dell’Algeria poi dagli avamposti del Vietnam, raccontano con freschezza, innocenza e ferocia il durissimo addestramento e la realtà della guerra sulle montagne e nella foresta tropicale. Disegnano così la storia di una imprevedibile maturazione che fa del giamburrasca ragazzino un uomo e un soldato.
Scritte tra una marcia e un massacro, in un italiano ribelle sempre più contaminato dalle lingue parlate nel plotone, colpiscono per la novità dell’ambientazione nel mondo a parte della Legione Straniera, per l’ambiguità del narratore (tanto affascinato dal coraggio dei nemici quanto incapace di riconoscere in loro altro che dei “selvaggi”; tanto cameratesco con il padre quanto reticente con la madre), per lo stupore delle descrizioni della natura che lo circonda, ma soprattutto per le verità disadorne del suo racconto dall’interno di una guerra molto seguita dalla stampa e dalla cinematografia, ma pressoché inedita nella scrittura italiana.

La Giuria Nazionale del Premio Pieve Saverio Tutino 2017 intende segnalare all’attenzione del pubblico due testi, in cui la memoria compie un viaggio di ritorno all’infanzia e restituisce due immagini di padri coraggiosi, due uomini liberi.
Il primo testo è 9 Luglio 1944 di Pietro Poponcini per la volontà, con lo scritto, di ricordare, dopo aver voluto, per tanti anni, rimuovere, nascondere, cancellare (sono le parole del testo, Ndr) ogni traccia del momento che aveva sconvolto la vita dell’Autore, quando, all’età di 9 anni, aveva assistito impotente all’arresto del padre Aldo da parte dei tedeschi. La memoria ritrova, in una successione inarrestabile, altre immagini di straordinaria intensità. La scrittura, come una coscienza, interviene a esaminare il passato e ferma sul foglio le sue tracce.
Il secondo testo è Via Bicchieraia di Giuseppina Porri
per aver restituito vividamente con la scrittura la figura di un uomo semplice e coraggioso, il fornaio Angiolo -suo padre- perseguitato dai fascisti solo per aver chiesto quello che gli spettava. Le conseguenze di un gesto normale segnano la vita di una famiglia, determinando la malattia di Angiolo e la sua precoce scomparsa. Anche la giovinezza dell’Autrice termina precocemente: nel ricordare a ritroso babbo Angiolo, Giuseppina riesce a ritrovarne un profumo, come di pane.

La Giuria segnala ancora un terzo testo, che restituisce la forza d’animo d’una donna piegata e mai vinta dalla malattia.
Lo strappo di Paola Nepi
per la resilienza, la capacità di non arrestarsi dinanzi a una condizione che la vorrebbe abbattuta e vinta. La forza di una donna che non si fa invadere dal buio del male, e trova per tutta la vita una ragione per cui battersi, fino alla battaglia per il diritto di scegliere la propria fine.

Guido Barbieri, Camillo Brezzi, Natalia Cangi, Pietro Clemente, Gabriella D’Ina, Beppe Del Colle,
Vittorio Dini, Patrizia Gabrielli, Paola Gallo, Antonio Gibelli, Lisa Ginzburg, Roberta Marchetti, Melania G. Mazzucco, Annalena Monetti, Maria Rita Parsi, Sara Ragusa, Stefano Pivato, Nicola Tranfaglia

MOTIVAZIONE:
Il Premio Pieve Saverio Tutino 2016 è stato assegnato a Ivano Cipriani per Balilla Blues (autobiografia 1926-1943): 
L’autore, nato a Roma nel 1926, racconta in modo ricco e vivace, adottando spesso un registro ironico e divertito, i primi diciotto anni dalla sua esistenza, dalla nascita fino all’anno cruciale della liberazione di Roma. Il suo è al tempo stesso un “romanzo familiare” e un “racconto di formazione”. Ivano proviene da una famiglia pistoiese, per metà cattolica e per l’altra metà comunista, costretta ed emigrare a Roma per sfuggire alle persecuzioni fasciste. Cresce in un caseggiato popolare di Viale Regina Margherita, insieme ai genitori e ai parenti più stretti, in una famiglia che si direbbe oggi “allargata”. I ritratti degli zii e delle zie che vegliano sulla sua educazione sono sicuramente tra le pagine più riuscite del racconto. Ma lo sguardo disincantato e curioso del piccolo Ivan coglie anche la contraddizione forse più flagrante della sua formazione alla vita: per un verso l’ideologia di regime che innerva la vita della scuola (il culto della ginnastica, il nazionalismo esasperato, il sabato fascista, il mito del balilla) per l’altro il forte sentimento antifascista della famiglia che si manifesta però con straordinaria discrezione e cautela, per non creare nel ragazzo disagio e conflitti. Centrale, nella formazione di Ivan, la scoperta della musica: le prime epifanie del swing interpretate dall’orchestra di Cinico Angelini, ma anche la musica proibita, il jazz rivoluzionario e travolgente di Louis Armstrong. Ivano Cipriani ci racconta insomma il ventennio fascista con lo sguardo disincantato, curioso e a volte sorridente di un adolescente che prende lentamente, ma inesorabilmente coscienza del mondo che lo circonda.

La Giuria intende segnalare all’attenzione del pubblico anche due altri testi particolarmente apprezzati: Millenovecento Africa di Giulio Cesare Scatolari, diario quotidiano, scritto con mano precisa e fedele, di uno straordinario viaggio in Congo belga compiuto da un medico italiano in Congo belga al tramonto dell’Ottocento e Vera di Roberta Pinotti, la cronaca straziante di una perdita inconsolabile, quella della figlia, portata via da un tumore ad appena dieci anni di vita.

Guido Barbieri, Camillo Brezzi, Natalia Cangi, Pietro Clemente, Gabriella D’Ina, Beppe Del Colle,
Vittorio Dini, Patrizia Gabrielli, Paola Gallo, Antonio Gibelli, Lisa Ginzburg, Roberta Marchetti,
Melania G. Mazzucco, Annalena Monetti, Maria Rita Parsi, Sara Ragusa, Stefano Pivato, Nicola Tranfaglia

MOTIVAZIONE:
Il Premio Pieve Saverio Tutino 2015 è stato assegnato a Giuseppe Salvemini per Con il fuoco nelle vene (diario 1916-1917):
La giuria del Premio Pieve, dopo una vivace discussione conclusasi con un verdetto pressoché unanime, ha deciso di assegnare il premio dell’edizione 2015 al diario di Giuseppe Salvemini, giovanissimo sottotenente aretino arruolatosi volontario diciottenne nel 1916 e morto nel 1918 per i postumi di un’intossicazione da gas. I giurati sono rimasti affascinati dalla ricchezza della sua testimonianza che transita repentinamente – parafrasando il titolo di un recente libro sulla prima guerra mondiale – dalla bellezza all’orrore: ossia dalla spavalderia e dalla leggerezza delle aspettative avventurose e delle vicende amorose della prima parte, all’impatto sempre più tragico della seconda, dominata dal l’oscenità dello sterminio di massa e della feroce disciplina militare. Si tratta in questo senso di uno dei testi più puntuali ed espliciti di denuncia del massacro di massa, delle fucilazioni e delle esecuzioni sommarie che caratterizzarono l’esperienza di guerra degli italiani.

Senza nessuna concessione a tentazioni celebrative connesse al centenario dell’entrata in guerra dell’Italia, la giuria desidera inoltre segnalare il diario di Emilio Cianca, operaio elettricista ternano, rimarchevole non solo per la chiarezza e la fermezza delle sue posizioni improntate alla tradizione classista e antimilitarista del socialismo, ma per la ricchezza di riferimenti narrativi alla soverchiante presenza visiva e sonora dei bombardamenti e per le descrizioni accurate, efficacissime della guerra aerea osservata dalle trincee.

Guido Barbieri, Camillo Brezzi, Natalia Cangi, Pietro Clemente, Gabriella D’Ina, Beppe Del Colle, Vittorio Dini, Patrizia Gabrielli, Paola Gallo, Antonio Gibelli, Lisa Ginzburg, Roberta Marchetti, Melania G. Mazzucco, Annalena Monetti, Maria Rita Parsi, Sara Ragusa, Stefano Pivato, Nicola Tranfaglia

MOTIVAZIONE:
Il Premio Pieve Saverio Tutino 2014 è stato assegnato a Gaddo Flego per Tra i sopravvissuti. Rwanda 1994 (memoria 1994):
Ad appena trentuno anni, ma con una lunga esperienza già maturata in Ciad, l’autore, medico fiorentino al servizio di Medecins sans Frontières, parte per il Rwanda nel giugno del ’94, nella fase più cruenta del genocidio dei Tutsi. Raggiunta la città di Nyamata, un piccolo centro nel sud est del paese che ospita inizialmente circa 8.000 profughi, Gaddo, insieme ad una ridottissima équipe, cerca di riorganizzare il sistema sanitario della zona, muovendosi tra l’ospedale locale, un nuovo ambulatorio e tre orfanotrofi di fortuna aperti per far fronte agli arrivi sempre più massicci dei profughi. La sua memoria racconta, con uno stile severo, asciutto e quasi cronachistico, una esperienza che lo porta quotidianamente a contatto con la sofferenza, l’ingiustizia, la morte, ma anche con le contraddizioni delle organizzazioni non governative. Senza mai cedere alla retorica del dolore e al cosiddetto “protagonismo umanitario” il testo ha il merito di offrire uno sguardo di prima mano sul genocidio dei Tutsi e di superare la logica dominante, fino allo scorso decennio, della equidistanza tra le due forze in campo. Tra le pagine della memoria affiora anche la denuncia esplicita del ruolo ambiguo e reticente svolto dalle grandi potenze europee, preoccupate non tanto di fermare il genocidio, quanto di preservare l’incolumità degli occidentali.

La giuria segnala inoltre il carattere sincero, autentico ed emblematico della autobiografia Il vaccaretto di Giuseppe Anice: il gesto di Giuseppe che a settacinque anni, dotato della sola seconda elementare, decide di raccontare per iscritto la propria vita per affidarla al ricordo dei figli e dei nipoti riassume in modo ideale il senso e la storia dell’Archivio Nazionale del Diario che proprio quest’anno compie il suo primo trentennio di vita.

Guido Barbieri, Camillo Brezzi, Natalia Cangi, Pietro Clemente, Gabriella D’Ina, Beppe Del Colle, Vittorio Dini, Paola Gallo, Antonio Gibelli, Lisa Ginzburg, Roberta Marchetti, Melania G. Mazzucco, Annalena Monetti, Maria Rita Parsi, Sara Ragusa, Stefano Pivato, Nicola Tranfaglia

MOTIVAZIONE:
Il Premio Pieve Saverio Tutino 2013 è stato assegnato ad Annamaria Marucelli e Francesco Leo per Yol-1511 (epistolario 1940-1946):
Un amore sbocciato lettera dopo lettera, parola dopo parola. Sullo sfondo la Seconda Guerra Mondiale, la prigionia di uno dei due protagonisti in India e tutte quelle vicende politiche che dal 1940 al 1946 hanno infiammato il mondo occidentale. È il fitto epistolario tra Annamaria Marucelli e Francesco Leo il vincitore la 29esima edizione del Premio Pieve Saverio Tutino. Lei madrina di guerra, fiorentina che vive a Roma, nel 1940 inizia a scrivere lettere a lui, milanese che dopo aver combattuto in Africa orientale come volontario in Libia viene catturato dagli inglesi e trasferito come prigioniero in India. Annamaria non può immaginare che un giorno si conosceranno, che il sentimento nato durante la corrispondenza trasformerà pian piano in amore e che lui diventerà il padre dei suoi figli. “Le lettere – si legge nella motivazione – che vanno dal 1940 al 1946, si presentano alla lettura avvincenti come un romanzo, per il tentativo di avvicinarsi di due personalità forti e a tratti opposte. Negli anni l’amicizia si approfondisce fino a sfociare in un legame d’amore che durerà tutta la vita”.

Secondo, quasi a pari merito è arrivato il diario di Francesco Sartori Con gli occhi di un padre e hanno meritato una menzione il diario Musafir di Rosario Simone e le memorie Patrie ingrate di Adriano Andreotti.

Guido Barbieri, Camillo Brezzi, Natalia Cangi, Pietro Clemente, Gabriella D’Ina, Beppe Del Colle, Vittorio Dini, Paola Gallo, Antonio Gibelli, Lisa Ginzburg, Roberta Marchetti, Melania G. Mazzucco, Maria Rita Parsi, Stefano Pivato, Sara Ragusa, Nicola Tranfaglia

MOTIVAZIONE:
Il Premio Pieve Saverio Tutino 2012 è stato assegnato a Castrenze Chimento per L’odissea della mia vita (memoria 1940-1956):
Nelle sue memorie rievoca una infanzia di abusi, abbandono e violenze con una scrittura allo stesso tempo sorgiva, lirica e visionaria, capace di una empatia quasi magica con la natura e gli animali.
Il diario vincitore Chimento, nato ad Alia (Palermo) nel 1935, nella sua memoria racconta episodi avvenuti tra il 1940 e il 1956. Lo fa con grande intensità traducendo l’oralità sulla pagina, testimonia la fiducia nel potere ‘sacrale’ della scrittura. A colpire in particolar modo la Giuria inoltre è stata la sua volontà di imparare a scrivere per poter poi raccontare la sua vita. L’autore infatti si è iscritto all’età di 74 anni a un Centro Territoriale Permanente per l’Educazione degli Adulti di Palermo ed è riuscito finalmente a realizzare il suo sogno.
La violenza familiare e le conseguenze che ne sono derivate per i soggetti più deboli, le donne e i bambini, sono stati temi ricorrenti in questa edizione del Premio.

A tale riguardo la Giuria ha menzionato un altro diario meritevole di interesse: quello di Lilly Sammartino per la forza del racconto che rompe un silenzio durato più di quarant’anni.

Guido Barbieri, Camillo Brezzi, Natalia Cangi, Pietro Clemente, Gabriella D’Ina, Beppe Del Colle, Vittorio Dini, Antonio Gibelli, Lisa Ginzburg, Roberta Marchetti, Melania G. Mazzucco, Maria Rita Parsi, Sara Ragusa, Nicola Tranfaglia, Saverio Tutino

MOTIVAZIONE:
Il Premio Pieve Saverio Tutino 2011 è stato assegnato a Ettore Finzi e Adele Foà per Conoscersi in trasparenza (epistolario 1938-1945):
La Giuria nazionale del Premio 2011 ha deciso, dopo un’ampia discussione sugli otto testi finalisti, tutti di particolare interesse e di ottimo livello, di assegnare il premio all’epistolario/diario intitolato Conoscersi in trasparenza, un lungo, quasi quotidiano scambio di lettere dal 1938 al 1945 fra due coniugi ebrei italiani, Adele Foà, milanese, ed Ettore Finzi, triestino, emigrati in Palestina per sottrarsi agli effetti delle leggi razziali. Dopo qualche mese di vita in comune a Tel Aviv insieme ai due piccoli figli – una femmina e un maschio – il marito, scontento del lavoro trovato in quella città, viene assunto con un contratto biennale come ingegnere chimico dalla compagnia petrolifera anglopersiana Aioc e si trasferisce ad Abadan, mentre la moglie, che si rivela donna molto coraggiosa e piena di risorse, resta a Tel Aviv con i due bambini. Si scrivono in continuazione, offrendo uno sguardo finora poco conosciuto sulla realtà dell’emigrazione ebraica dall’Europa in un luogo come la Palestina allora sotto il mandato britannico, e dove era ancora lontana la nascita di uno Stato ebraico indipendente.
La lettura di queste lettere, secondo il giudizio della Giuria, suscita un crescente interesse per il continuo dialogo fra sentimenti, diversità di opinioni, speranze, progetti per il futuro, fra i quali domina il desiderio di tornare in Italia una volta finita la guerra, ma sempre sotto l’incubo del mistero sulla sorte dei rispettivi famigliari rimasti in patria.

La Giuria desidera segnalare inoltre il diario Gran Chaco del ventenne Luigi Canzi, figlio di una nota famiglia di imprenditori lombardi, che nel 1859 si avventura con un amico lungo i fiumi dell’America del Sud, da Buenos Aires fino ai confini con la Bolivia, in terre perlopiù fino ad allora poco conosciute in Europa. 

Guido Barbieri, Camillo Brezzi, Natalia Cangi, Pietro Clemente, Beppe Del Colle, Gabriella D’Ina, Vittorio Dini, Antonio Gibelli, Lisa Ginzburg, Roberta Marchetti, Melania G. Mazzucco, Davide Musso, Maria Rita Parsi, Nicola Tranfaglia, Saverio Tutino

MOTIVAZIONE:
Il Premio Pieve Saverio Tutino 2010 è stato assegnato a Magda Ceccarelli De Grada per Giornale del tempo di guerra (diario 1940-1945): 
Dopo un’ampia discussione, che ha preso in esame gli otto testi inviati dalla Commissione di lettura, la Giuria Nazionale del Premio ha concentrato la propria attenzione sul diario di Magda Ceccarelli De Grada, Giornale del tempo di guerra, che percorre l’intero periodo della Seconda guerra mondiale, dal 1940 al 1945. Il diario possiede una spiccata qualità narrativa e riesce a delineare un ritratto personale della capitale lombarda e dell’Italia del tempo, dal punto di vista culturale e politico. L’Italia di quegli anni che versa in circostanze drammatiche ed è divisa tra opposte tendenze, tra chi difende il regime fascista e chi non lo accetta, emerge limpidamente e, nel diario, vengono messe in luce le grandi difficoltà e le costanti incertezze della vita quotidiana. C’è il punto di vista di una donna, moglie di un noto artista e intellettuale, inserita in un circolo ampio di intellettuali militanti comunisti e azionisti, che difende in maniera tenace le sue idee e le speranze di un’Italia democratica e migliore.

La Giuria segnala inoltre la vicenda singolare e sfortunata di Kemal Subasciaki che ricostruisce nella sua memoria, intitolata Saponificio Gazzella, la storia della sua attività imprenditoriale, prima in Libia e poi in Eritrea tra gli anni Trenta e gli anni Ottanta.

Guido Barbieri, Camillo Brezzi, Natalia Cangi, Pietro Clemente, Beppe Del Colle, Vittorio Dini, Antonio Gibelli, Lisa Ginzburg, Roberta Marchetti, Melania G. Mazzucco, Davide Musso, Maria Rita Parsi, Nicola Tranfaglia, Saverio Tutino

MOTIVAZIONE:
La giuria nazionale, che si è riunita ieri a Pieve per esaminare gli otto testi finalisti pervenuti, ha verificato che quest’anno sono presenti diari, epistolari e memorie che riguardano la storia del nostro paese prima e dopo l’Unità, che hanno affrontato di volta in volta vicende individuali e collettive, l’ultima guerra mondiale, la storia del fascismo come quella dell’Italia repubblicana, i sentimenti e i rapporti tra donne e uomini, le malattie mentali come le esperienze dei manicomi dopo la riforma Basaglia del 1980. Dopo un’ampia e animata discussione, la giuria nazionale ha concentrato la propria attenzione sul diario di Sabina Perla, intitolata “Die Katastrophe”, che attraversa il mondo manicomiale con una forte tensione e lo descrive in maniera critica e assai vivace. Leggiamo finalmente uno sguardo dal di dentro sui manicomi italiani e sulla burocrazia statale della devianza e del disagio dopo la legge Basaglia. La storia di questa donna che vive con grande sofferenza la sua vita, senza sapere perché, trascinata di crisi in crisi senza che nessuno sappia intercettare il suo dolore, ha un valore esemplare per il nostro paese. Sono tremende e straordinarie le pagine dei suicidi mancati. Sabrina ha uno sguardo lucido sugli altri e su se stessa, una amarezza forse inguaribile,una rabbia che merita di essere letta e ascoltata.

La giuria sente, nello stesso tempo, l’esigenza di segnalare il diario di Antonio Sbirziola “Povero, onesto e gentiluomo”, già premiato alcuni anni fa per un altro brano della sua lunga autobiografia. Sbirziola è un narratore nato e sta costruendo a poco a poco una formidabile epopea italiana picaresca e sgangherata, acuta e terribilmente autentica. Anche il linguaggio che Sbirziola usa è inventivo, d’autore e si legge con grande interesse. La giuria vuole ancora aggiungere, alla fine,che altri diari finalisti meriterebbero altre menzioni perché raccontano storie interessanti e meritevoli, a suo avviso di essere pubblicate da editori che vogliano raccontare soprattutto l’Italia reale di questi ultimi decenni.

Guido Barbieri, Camillo Brezzi, Natalia Cangi, Pietro Clemente, Beppe Del Colle, Vittorio Dini, Antonio Gibelli, Lisa Ginzburg, Roberta Marchetti, Melania G. Mazzucco, Davide Musso, Nicola Tranfaglia, Saverio Tutino

MOTIVAZIONE:
La Giuria nazionale del Premio Pieve – Banca Toscana si è riunita il 13 settembre 2008. Dopo ampio dibattito, prima di attribuire il premio al vincitore, ha deciso di segnalare il testo di Cristina Bernhard, tragica memoria di un’infanzia ferita, nell’Alto Adige degli anni Quaranta, da cui emergono la miseria morale e materiale della cultura contadina della montagna, la sopraffazione sull’infanzia, la responsabilità prematura di una bambina costretta presto a diventare madre di troppi fratelli. Ma su tutto la forza della pietas, la capacità di comprendere e perdonare trovando il coraggio di ricostruirsi una vita serena.

La Giuria ha inoltre deciso all’unanimità di assegnare il premio della ventiquattresima edizione all’epistolario di Leo Ferlan. Il carteggio disegna il ritratto di un giovane botanico italiano di straordinario talento che non riesce a trovare la propria collocazione ed è per questo costretto a lavorare e vivere lontano, in una realtà sconosciuta come quella dell’Algeria negli anni Cinquanta, nella quale però è capace di addentrarsi con grande curiosità intellettuale. La giuria è rimasta colpita non solo dall’intensità del percorso, delineato nelle lettere, da una conoscenza casuale a un rapporto intimo di grande profondità e intensità, ma dalla qualità non comune della sua scrittura: una prosa tenera e pacata che lascia intravedere l’osservatore attento della natura come dei sentimenti, arguto, delicato, capace di comporre con rapide pennellate dettagliati ritratti delle cose e degli uomini

Guido Barbieri, Camillo Brezzi, Natalia Cangi, Pietro Clemente, Beppe Del Colle, Vittorio Dini,
Antonio Gibelli, Roberta Marchetti, Maria Rita Parsi, Nicola Tranfaglia, Saverio Tutino

MOTIVAZIONE:
La Giuria nazionale del Premio Pieve – Banca Toscana, riunita il 15 settembre 2007 a Pieve Santo Stefano, ha svolto un ampio dibattito sui dieci testi presentati dalla Commissione di lettura, che spaziavano da diari di metà Ottocento volti a riprodurre ritratti e atmosfere dell’ancien regime in Italia, a memorie scritte negli ultimi decenni del Novecento. Si tratta di diari, epistolari e memorie che riguardano una vita intera o anche un anno straordinario o addirittura pochi mesi di vita contrassegnati da una qualche eccezionalità. Alla fine della discussione, la Giuria ha deciso all’unanimità di assegnare il premio della ventitreesima edizione all’epistolario del giovane ufficiale di fanteria Sisto Monti Buzzetti, per la straordinaria lucidità della sua testimonianza scandita dalle 287 missive inviate ai familiari dal fronte della prima guerra mondiale. Le lettere, influenzate dalle preoccupazioni di rassicurare i congiunti, spingono il giovane autore a privilegiare il lato allegro, ludico e persino comico della vita di guerra, affrontata con ironia e giovanile baldanza e con forte senso del dovere. Ma presto, nella corrispondenza di Sisto, si insinuano, con forza crescente, lo sconforto e l’angoscia per lo spettacolo delle stragi senza senso e senza limiti, che si traduce a poco a poco nel presentimento della sua prossima fine. In questa parabola, l’epistolario costituisce una dolorosa e struggente conferma delle dimensioni destabilizzanti di un conflitto che la memoria e la storiografia hanno riconosciuto sempre più chiaramente come il tragico esordio di un’epoca di ferro e di fuoco, destinata a segnare in profondità la storia dell’Europa e del mondo occidentale.

 

Guido Barbieri, Camillo Brezzi, Natalia Cangi, Pietro Clemente, Beppe Del Colle, Vittorio Dini, Piero Gelli, Antonio Gibelli, Roberta Marchetti, Silvia Melloni, Maria Rita Parsi, Nicola Tranfaglia, Saverio Tutino

MOTIVAZIONE:
La Giuria nazionale della XXII edizione del Premio Pieve – Banca Toscana ha deciso di assegnare il premio al testo di Antonio Sbirziola, cronaca piena di sofferenza, di amore e di coraggio dell’esperienza vissuta nella lontana Australia, segnata contemporaneamente dalla lotta inesausta per la cura e la guarigione del piccolo figlio malato e dal progetto altrettanto caparbio di edificare una casa più grande e più bella per la propria famiglia. Nel suo racconto la forza degli affetti e dei desideri si fa strada attraverso un linguaggio misto di espressioni popolari in lingua siculo-italiana e anglo-australiana, che incarna tutta l’urgenza e la fatica di scrivere di sé, motivo ispiratore a sua volta della Fondazione Archivio Diaristico Nazionale.

La Giuria ha deciso inoltre di segnalare l’autobiografia di Paola Oliva Bertelli, una storia ampia e densa che accompagna la protagonista dalla prima infanzia vissuta a Roma negli ultimi anni del fascismo, attraverso le vicende drammatiche della seconda guerra mondiale, la militanza nel PCI, il lavoro nelle radio clandestine a Praga e Bucarest, fino alle più recenti esperienze di lavoro e di vita. Il racconto delinea con efficacia ritratti di ambienti e personaggi che hanno segnato profondamente la vita collettiva del nostro Paese.

La Giuria ha espresso particolare apprezzamento per il lavoro della commissione di lettura, che ha fatto emergere un numero considerevole di storie cariche di dignità e di umanità, facendo conoscere esperienze significative di un’Italia non ufficiale.

 

Camillo Brezzi, Natalia Cangi, Beppe Del Colle, Vittorio Dini, Piero Gelli, Antonio Gibelli, Roberta Marchetti, Silvia Melloni, Maria Rita Parsi, Luca Ricci, Nicola Tranfaglia, Saverio Tutino

MOTIVAZIONE:
La Giuria Nazionale del XXI° Premio Pieve – Banca Toscana per diari, memorie, epistolari inediti, riunitasi a Pieve Santo Stefano il giorno precedente alla manifestazione finale ha deciso di valorizzare con il primo premio del concorso 2005 l’epistolario di Raffaele Favèro che ha per titolo “Rafiullah”. Era dal 1990 che la Giuria non premiava con il riconoscimento maggiore un epistolario. Se ne è presentata l’occasione grazie all’opera di Favero, un giovane milanese che nel 1967 è partito – come molti della sua generazione – verso l’Oriente alla ricerca della serenità personale e nel tentativo di comunicare con una società diversa dalla propria. Attratto dall’islamismo, Favero è diventato amico dei mujahedin afghani dimostrando come la questione dell’incontro tra le religioni sia possibile senza ricorrere alla violenza. Nelle lettere che scriveva ai genitori e alla sorella Patrizia, rimasti a Milano, Raffaele raccontava con ironia e sfrontatezza il suo adattamento quindicennale (1967-1983) in terre straniere di cui ha assorbito usi e costumi, sempre cercando nel rapporto con gli altri e nella vita comunitaria la propria cifra di esistenza nel mondo. Conosciuta una ragazza australiana, Favero la sposa e va a vivere con lei nel suo Paese. Ma proprio perché il rapporto con l’Afghanistan non è stato soltanto un episodio di passaggio, Favero torna più volte nel Paese asiatico che è diventato la sua patria d’elezione. Soprattutto, vi torna quando i russi lo invadono, nel 1980. Ed è proprio qui che troverà la morte, nel 1983, sotto un carro armato guidato da un dissidente afghano che combatteva a fianco dei sovietici. Le sue lettere sono un prezioso documento delle inquietudini interiori di un ragazzo, poi uomo, sempre in fuga; non sono scritte per farne un libro (anche se ora lo diverranno grazie all’editore Terre di Mezzo), ma è proprio questa loro autenticità che le rende di straordinario interesse umano e documentario.

La Giuria, nel compiacersi con la Commissione di selezione locale per la buona qualità media degli scritti finalisti, ha deciso di segnalare altre tre opere, di persone prossime o già arrivate ai cento anni. Primo fra tutti il bell’epistolario tra i due piemontesi Bruna Dina e Cesare Genti (lui oggi è novantunenne): sono le lettere d’amore tra un soldato dell’esercito italiano inviato in Russia e una giovane di buona famiglia ebrea, sottoposta alle persecuzioni razziali; qui la guerra rimane da sfondo, perché più forte di tutto è l’intensità del sentimento che lega i due amanti, che poi diverranno sposi. Le altre due storie segnalate sono quella dello scalpellino comasco Giovanni Piazza, scritta a novantatre anni, e quella della ricamatrice romagnola Maria Buonavista, scritta dagli ottanta ai cento anni, entrambe dense di episodi che illuminano la vita quotidiana di un’Italia operaia e contadina. Se Giovanni Piazza, classe 1890, è ormai scomparso, è invece un piacere festeggiare questo riconoscimento con la centoduenne Maria Buonavista, una delle più longeve fra i diaristi dell’Archivio, che dimostra come l’esercizio della memoria contribuisca a far vivere a lungo.

 

Camillo Brezzi, Natalia Cangi, Beppe Del Colle, Vittorio Dini, Piero Gelli, Antonio Gibelli, Lisa Ginzburg, Roberta Marchetti, Silvia Melloni, Maria Rita Parsi, Luca Ricci, Nicola Tranfaglia, Saverio Tutino

MOTIVAZIONE:
La giuria nazionale del “Premio Pieve – Banca Toscana”, giunto alla sua ventesima edizione, ha deciso, dopo un ampio dibattito, di assegnare il premio alla memoria autobiografica di Antonina Azoti che rievoca in un centinaio di pagine limpide ed essenziali l’amara vicenda di una bambina siciliana che, a soli quattro anni, resta orfana del padre sindacalista, assassinato dalla mafia. E quasi cinquant’anni dopo, di fronte alle stragi del 1992 culminate con la morte dei giudici Falcone e Borsellino e delle loro scorte, trova la forza per rivendicare pubblicamente al ricordo dei padre e degli altri trentanove sindacalisti uccisi da Cosa Nostra negli armi Quaranta in Sicilia, il diritto alla dignità e alla riconoscenza civile di tutti gli italiani.
La memoria di Antonina Azoti restituisce con immediatezza ed emozione una pagina intensa di una vita individuale e, nello naso tempo, di storia civile del nostro paese.

La giuria nazionale intende inoltre segnalare il buon livello dei manoscritti entrati quest’anno in finale grazie al lavoro della commissione di lettura di Pieve e giudica degna di particolare menzione lo scritto di Adriana Deacu che racconta, con notevole forza rappresentativa, la dittatura di Ceausescu sulla Romania, la sua rovinosa caduta e la fuga in Italia dell’ autrice.

 

Camillo Brezzi, Natalia Cangi, Beppe Del Colle, Gabriella D’Ina, Vittorio Dini, Piero Gelli, Antonio Gibelli, Lisa Ginzburg, Roberta Marchetti, Silvia Melloni, Maria Rita Parsi, Luca Ricci, Nicola Tranfaglia, Saverio Tutino

MOTIVAZIONE:
La Giuria del “Premio Pieve – Banca Toscana” XIX edizione, riunitasi nei locali del Municipio, ha prima di tutto sottolineato l’alto livello dei dieci testi scelti dalla Commissione di Lettura, sia dal punto di vista della scrittura che da quello delle esperienze umane raccontate. Dopo un’ampia discussione, in cui vari testi sono stati particolarmente apprezzati, la Giuria ha deciso di attribuire il Premio di quest’anno alla memoria 1945-1998 Il sapore del pane” del lodigiano Daniele Granatelli. L’autore vi rievoca con straordinaria lucidità priva di retorica, la vicenda dolorosa della sua infanzia trascorsa lontano dalla madre, negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale, e la sua vita nella campagna di Reggio Emilia dove è stato portato a 4 anni presso i partigiani della “Giulia” che accolsero nelle loro case bambini di famiglie disagiate della Lombardia. Tra nostalgia e tensioni con la madre, Granatelli racconta gli otto anni in cui impara a conoscere la vita di campagna e ad apprezzarne la bellezza. La sua memoria getta per la prima volta luce su un aspetto sconosciuto della solidarietà post-bellica nell’Italia della fame.

Vista l’alta qualità degli scritti in concorso, la Giuria ha deciso di assegnare una segnalazione speciale a due testi che presentano temi simili tra loro, ma che in realtà sono molto diversi. Si tratta della memoria del salernitano Luigi Del Pezzo La coperta di cartone”, e dello scritto del napoletano Salvatore Rosso L’ombra del Vesuvio”. Del Pezzo, nato nel 1977, ha inviato al concorso un testo molto spontaneo e per fortuna poco letterario, ma animato da una vera urgenza di scrittura, dove riesce a gettare una luce sul mondo dei punkabbestia e dei ragazzi che vivono per strada. Salvatore Rosso, invece, ha raccontato la sua parabola di caduta e redenzione: spacciatore, detenuto, poi parcheggiatore abusivo, riesce a inserire il suo personaggio nel contesto sociale di una Napoli aspra e violenta.

Camillo Brezzi, Natalia Cangi, Pietro Clemente, Beppe Del Colle, Gabriella D’Ina, Vittorio Dini, Piero Gelli, Antonio Gibelli, Lisa Ginzburg, Roberta Marchetti, Silvia Melloni, Maria Rita Parsi, Luca Ricci, Nicola Tranfaglia, Saverio Tutino

MOTIVAZIONE:
La Giuria Nazionale del “Premio Pieve – Banca Toscana”, alla sua diciottesima edizione, che segna simbolicamente l’ingresso nella maturità, nella rosa dei dieci finalisti, segnala per la prima volta le vicende esistenziali di tre giovani. La Giuria ha apprezzato le due “strane fughe” di Maria Ursula Galli e Giovanni Terreri. Lei, tra il 1990 e il 1991 trascorre cinque mesi in Australia, inseguendo un amore che l’ha fatta avvolgere su se stessa, ma da cui riesce a liberarsi. Alla fine, scappa verso il deserto per fare una tesi di laurea sul teatro degli aborigeni che discuterà due anni dopo, in Italia, ormai lontana dal contesto australiano di cui ha saputo descrivere con una certa sensibilità la desolazione di certi paesaggi, in rapporto ai turbamenti psicologici che avvenivano in lei. Invece, Terreri, nel 1981, vive la coda finale di quell’esodo che portò molti giovani europei e americani verso l’India, anche lui fuggendo lontano per ritrovare se stesso. Nel suo diario di viaggio traccia un percorso di maturazione umana, con la capacità di unire alla descrizione dei luoghi visitati la riflessione sulla propria interiorità in movimento. Raccomandando all’editore Terre di Mezzo anche l’eventuale pubblicazione congiunta di queste due opere, infine, la Giuria ha scelto di premiare col maggior riconoscimento la memoria di Andrea Moretti, dal titolo “L’incidente”. É il racconto di un pallavolista diciannovenne, vittima di un incidente automobilistico che lo costringe in sala di rianimazione tra la vita e la morte e, una volta passato il pericolo, lo obbliga a una lunga degenza in strutture di riabilitazione. La Giuria, pur sottolineando certe acerbità di questa scrittura, ha deciso di conferire ad Andrea Moretti il “Premio Pieve” per la sua capacità di raccontare il lento riappropriarsi delle più elementari funzioni vitali e per il coraggio con cui ha saputo reagire alla sventura e ritornare alla vita, sino a trovare il desiderio di testimoniare il suo percorso di salvazione. Ne risulta un documento prezioso sul passaggio dall’incoscienza alla coscienza di sé, con la volontà di ricomporre in dettaglio quei tasselli di memoria che il coma ha cancellato, narrando la propria vicenda con la consapevolezza di chi è scampato alla morte e ora vuole testimoniare la sua energia vitale.

Camillo Brezzi, Pietro Clemente, Beppe Del Colle, Gabriella D’Ina, Vittorio Dini, Piero Gelli, Antonio Gibelli, Vivian Lamarque, Maurizio Maggiani, Roberta Marchetti, Maria Rita Parsi, Nicola Tranfaglia, Saverio Tutino

MOTIVAZIONE:
Riuniti a Pieve Santo Stefano il 1° settembre 2001, i membri del Premio Pieve – Banca Toscana hanno preso in esame la rosa dei dieci finalisti scelti dalla commissione locale fra 152 testi arrivati quest’anno per il concorso. Risalta fra questi una significativa prevalenza di scritti femminili che testimoniano la spinta a una cresciuta evoluzione, nella seconda parte del Novecento, verso una più marcata ricerca di libertà da parte delle donne, coscienti dell’importanza della loro differenza esistenziale. Compiacendosi per la qualità dei testi designati per questa finale, che riguardano un arco di tempo e una gamma di esperienze inviduali di vario interesse storico e sociale, la giuria si è soffermata sulla singolarità di alcune esperienze: come quella della giovane volontaria torinese Elisa Frasseto nella Croazia del ’97, o quella di Ines Zaro, una suora veneziana dall’esperienza travagliata: valori psicologici particolari sono stati rilevati nei diari di Flora Ritter, con la sua crisi giovanile negli anni negli anni intorno al ’68, e di Lea Canini, nella sua lunga esplorazione del femminismo e dei rapporti di potere con gli uomini.

Sul versante maschile, la giuria desidera citare la singolare importanza del documento costituito dalle lettere di guerra del contadino granatiere foggiano Antonio Roberto che colpiscono per la straordinaria visione legata al proprio mondo contadino. Anche i ricordi di Serretto Serretti, emigrato negli Anni Venti in America Latina, e le missive attuali via e-mail di Francini e Rizzo, due giovani ingegneri legati dalla comune origine universitaria e dalla passione per il calcio, hanno impressionato per la loro originalità. Senza dimenticare infine i ricordi di Filomena Lina Trozzi, partigiana deportata a Dachau, e quelli di Gian Carlo Stracciari, soldatino dell’esercito di Salò. Alla fine, la giuria ha deciso a grande maggioranza di conferire il premio Pieve Banca Toscana, giunto alla 17° edizione, a un libro memorialistico intitolato Il marito taciturno” di Concetta Ada Gravante, che contiene la narrazione ironica e positiva di una donna che, dal 1940 a oggi, affronta un percorso  di emancipazione culturale e sociale sul sofferente sul rapporto con l’uomo che aveva sposato per amore e di nascosto dal quale, di notte, ha scritto la sua autobiografia. Delusa dal matrimonio, la Gravante affronta le asprezze della sua condizione riuscendo a mantenere, nel suo stile personale, un lucido punto di vista sul rapporto col marito, attraverso ricordi che salvano e curano la vita: da Capua a Villa Literno, a Pescara, passando per gli anni di frequenza dell’”Orientale” a Napoli. Come si addice ad un premio nato nella “Città del Diario”, la giuria ha voluto infine segnalare anche le doti di sensibilità e di grande attualità contenute nel diario di Elisa Frasseto, che a 22 anni, ha dedicato, per la semplice gioia del dare, con amore, la propria solidarietà agli anziani serbi rimasti isolati in Croazia, nel vortice di una guerra che non sembra finire.

Camillo Brezzi, Pietro Clemente, Beppe Del Colle, Gabriella D’Ina, Vittorio Dini, Piero Gelli, Antonio Gibelli, Vivian Lamarque, Maurizio Maggiani, Roberta Marchetti, Maria Rita Parsi, Nicola Tranfaglia e Saverio Tutino

MOTIVAZIONE:
La Giuria Nazionale del “Premio Pieve-Banca Toscana”, arrivato alla sedicesima edizione, ha deciso di attribuire ex-aequo il premio 2000 alle memorie autobiografiche di Vincenzo Rabito e Armando Zanchi.

La memoria di Armando Zanchi è l’itinerario esistenziale di un migrante che andando e tornando dalla Francia e dall’Inghilterra, sembra rappresentare ante litteram quel mondo dell’uomo flessibile di cui tanto si scrive. La Giuria si compiace di poter premiare per la prima volta la storia di un diarista che appartiene all’Alta Valtiberína Toscana, dove si trova anche l’archivio dei diari. Lo scritto di Zanchi si segnala per la spontaneità e la forza vitale del personaggio e per la capacità di descrivere con colori vividi e immediati una storia dal sapore picaresco.

Secondo l’avviso di questa Giuria, l’incontro con la scrittura del cantoniere ragusano Vincenzo Rabito rappresenta un evento senza pari nella storia dell’Archivio stesso. Vivace, irruenta, non addomesticabile, la vicenda umana di Rabito deborda dalle pagine della sua autobiografia. L’opera è scritta in una lingua orale impastata di “sicilianismi”, con il punto e virgola a dividere ogni parola dalla successiva. Rabito si arrampica sulla scrittura di sé per quasi tutto il Novecento, litigando con la storia d’Italia e con la macchina da scrivere, ma disegnando un affresco della sua Sicilia così denso da poter essere paragonato a un “Gattopardo” popolare.

L’asprezza di questa scrittura – a conti fatti più di duemila pagine – toglie la speranza di veder stampato, per la delizia deí linguisti, questo documento nella sua integralità. “Il capolavoro che non leggerete”, cosi un giurato propone di intitolare la notizia sull’improbabile pubblicazione di quest’opera. Eppure, la Giuria farà in modo che altre istituzioni (Ministero dei Beni Culturali, Regione Sicilia, Università locali) vengano coinvolte al fine di trovare adeguati canali per la valorizzazione di quest’opera rara e preziosa.

Camillo Brezzi, Pietro Clemente, Beppe Del Colle, Gabriella D’Ina, Vittorio Dini, Piero Gelli, Antonio Gibelli, Vivian Lamarque, Maurizio Maggiani, Roberta Marchetti, Maria Rita Parsi, Nicola Tranfaglia e Saverio Tutino

MOTIVAZIONE:
La commissione giudicatrice del “Premio Pieve-Banca Toscana” si è riunita l’11 settembre 1999 nella sede del Municipio, per decidere in merito alla quindicesima edizione del concorso. La giuria ha deciso a maggioranza di considerare vincitore del premio il testo autobiografico di Maddalena Manca intitolata “Imparare paura”. Questo scritto ha colpito per la forza espressiva con cui impone il personaggio di una donna che fin da bambina è terrorizzata dalla violenza degli adulti della propria famiglia e poi lo sarà da quella del marito, tra la Sardegna natia e la Germania dell’emigrazione. Il libro tende a una sorta di risarcimento che lo vede unito singolarmente, nel premio di quest’anno, ad altri due diari femminili, che la giuria desidera segnalare: Il sonnambulo” di Maria Terreran, e “Ma i nipoti crescono bene” di Zaira Franzini, anch’essi rivolti a situazioni di sofferenza femminile che la scrittura aiuta ad alleviare.

Poi la giuria del Premio – compiacendosi per l’attento lavoro di selezione compiuto dalla commissione locale – ha ritenuto di sottolineare con una speciale menzione un altro libro: “I mangiatori di sabbia” di Elio Romano, che in uno scenario di grande intensità emotiva, narra l’avventura di un giovane ingegnere dedicatosi, nei primi anni cinquanta, alla ricerca del petrolio per conto di una Compagnia americana, nel deserto dell’Arabia.

In stretta connessione con il suo compito, la commissione giudicatrice auspica infine che, al  momento della pubblicazione dei testi premiati, le sue scelte siano garantite da una supervisione dell’Archivio rispetto a eventuali interventi di modifica nella scrittura che venissero concordati fra l’Autore e l’Editore.

Camillo Brezzi, Pietro Clemente, Beppe Del Colle, Gabriella D’Ina, Vittorio Dini, Piero Gelli, Antonio Gibelli, Vivian Lamarque, Roberta Marchetti, Maria Rita Parsi, Nicola Tranfaglia e Saverio Tutino

MOTIVAZIONE:
Francesco Stefanile, un esattore napoletano delle autostrade meridionali, oggi in pensione, ha vinto il Premio Pieve-Banca Toscana 1998.

Le sue memorie sulla prigionia negli Urali e in Uzbekistan, da lui intitolate “Il testimone”, ha convinto la giuria più degli altri finalisti, che pure offrivano tutti speciali spunti di interesse. I giudici del premio Pieve hanno apprezzato il fatto che la memoria di Stefanile, pur avendo come oggetto una vicenda storica già ampiamente trattata dalla letteratura di guerra, contiene una propria specifica qualità narrativa, centrata sulla descrizione dei fatti, anche minimi, di un’esperienza personale nella tragedia corale. E’ la storia del passaggio del protagonista dal fascismo alla coscienza di un’autonomia politica individuale, attraverso una breve illusione sulla superiorità del comunismo, per arrivare alla convinzione che è soprattutto la pace quello che importa a tutti.

Il racconto è scandito da molti spunti di toccante verità, dal bacio del padre nel momento della partenza, all’anello di fratellanza lasciato a Marusia il giorno del ritorno a casa, passando attraverso le cose di mille giorni di sopravvivenza.

Una menzione speciale va anche a Ida Nencioni per il suo Diario nero”, una scrittura dell’anima, una scrittura “da dentro”, intensa e pur se frammentata, tormentata, convulsa, che vuole lasciare e lascia traccia della profondità del dolore e della solitudine di chi, come questa donna, è in lotta con i fantasmi dell’inconscio e con l’incomprensione della società dei sani” (o presunti tali!).

La giuria ha convenuto inoltre di dedicare una speciale menzione al diario di Massimo Bartoletti Stella “Romagna Sessanta” per la freschezza dell’invenzione linguistica e per l’imprevedibilità di una scrittura scanzonata, a tratti paradossale, capace di raccontare con leggerezza e acume l’esperienza del mondo compiuta da un adolescente.

Oliviero Beha, Camillo Brezzi, Pietro Clemente, Beppe Del Colle, Gabriella D’Ina, Vittorio Dini, Piero Gelli, Vivian Lamarque, Diego Leoni, Roberta Marchetti, Maria Rita Parsi, Lidia Ravera, Nicola Tranfaglia, Saverio Tutino e Padre Ugolino Vagnuzzi

 

MOTIVAZIONE:
Il tredicesimo “Premio Pieve – Banca Toscana 1997” è andato a Mario Tagliacozzo, per il suo denso libro intitolato “Sirene sul Lungotevere”. Ancora una volta, la giuria del concorso per diari, memorie, epistolari, si è trovata di fronte a una rosa di finalisti che le hanno proposto una scelta stimolante e difficile. I testi selezionati  compongono – attraverso ricordi di persone che hanno vissuto fra i primi anni dell’Ottocento e gli ultimissimi anni del Novecento – un intreccio di memorie individuali  e di storia collettiva di rara suggestione. Così la Giuria ha potuto confrontare fra loro racconti che, tra emigrazioni per lavoro, spedizioni di guerra e di colonia, sposalizi extracomunitari e persecuzioni razziali, abbracciamo la vita di tanti italiani, in movimento nello spazio di tre continenti. C’è poi una novità singolare: un diario scritto da un ragazzino di dodici anni, Ivano Amoretti, che disegna il paesaggio e i fatti quotidiani dell’ultimo anno di guerra, visti dalla finestra di casa sua a Sanremo.

La Giuria si è soffermata in particolare su quattro testi. Uno è il carteggio affettuoso fra il soldato Efisio Atzori e la sua famiglia cagliaritana, durante la prima guerra mondiale: un documento in cui risaltano la figura singolare del padre e la personalità compatta del giovane alpino, capace di osservare intorno a sè la natura, mentre imperversano i combattimenti sui ghiacciai dell’Adamello. Atzori cadrà poi sul Pasubio, il 10 settembre 1916. Un altro scritto che ha attirato molto l’attenzione della Giuria è il diario di Paolo Severi, un giovane prelevato da San Patrignano e incarcerato l’anno scorso a Rimini per un residuo di pena, messo a dura prova dalla costrizione e sevizie morali non previste dal codice, in un luogo dove la droga circola nella commistione dei corpi e delle sofferenze.

Un terzo libro autobiografico che ha interessato molto la Giuria è quello di una ragazza lucchese, Maria Stuarda Varetti, che sposa un somalo e va con lui a vivere in tribù dove si inserisce e partecipa alla vita locale, dà alla luce un figlio, ma dopo undici anni fuggirà per separarsi.

Infine si è imposto lo scritto di Mario Tagliacozzo, un agente di commercio romano, dotato di grande cultura, che racconta l’impatto di una famiglia ebrea con l’antisemitismo esploso con violenza, in Italia, sotto la Repubblica di Salò. A questo libro, al termine di un confronto serrato con l’epistolario di Atzori, la Giuria ha deciso di assegnare il premio per la sua forza narrativa, che tiene insieme paginedi diario degli sfollamenti e memoria redatta a caldo, subito dopo la fine del conflitto, su eventi che vanno anche al di là dei problemi ebraici: tre anni di angoscie e di sforzi per portare in salvo la famiglia, giorno dopo giorno, a contatto con la vita di tutti.

Oliviero Beha, Camillo Brezzi, Pietro Clemente, Beppe Del Colle, Vittorio Dini, Vivian Lamarque, Diego leoni, Dacia Maraini, Roberta Marchetti, Maria Rita Parsi, Nicola Tranfaglia, Saverio Tutino e Padre Ugolino Vagnuzzi

MOTIVAZIONE:
L’autobiografia di Margherita Ianelli, bolognese, ha vinto la dodicesima edizione del Premio Pieve – Banca Toscana. La giuria del concorso, riunita a Pieve Santo Stefano il 14 settembre 1996 ha scelto pressochè all’unanimità di mettere in risalto questa memoria che sa raccontare insieme una vicenda individuale aspra, di donna orgogliosa, e la più vasta parabola di una comunità contadina in trasformazione. Descrivendo con autentica capacità narrativa, attraverso un linguaggio impervio ma vero, la psicologia dei personaggi e il loro modo di lavorare nei campi, Margherita Ianelli è riuscita a dare una dell testimonianze personali più ricche che siano note in questo genere di letteratura- forse un testo unico che entrerà nella cultura del nostro tempo.

I giurati di questa edizione del Premio, hanno deciso poi di segnalare con particolare evidenza anche il testo autobiografico del sassarese Costantino Congiu, che manifesta una grande padronanaza nel descrivere le immagini crude e la lunga sofferenza patita in una infanzia di orfano abbandonato per i vicoli di Sassari, alla ricerca di cibo e di una “tana” dove ripararsi. Il racconto di come questo ragazzo sia riuscito a “dare a sè la propria vita” è uno dei più belli che siano arrivati al concorso di Pieve.

Secondo la Giuria, la netta vittoria di Margherita e il successo di Congiu non devono oscurare le caratteristiche, spesso pregevoli, di tutti gli altri finalisti: la curiosità e l’intraprendenza della tredicenne Gloria Chilanti che tiene un diario della Resistenza a Roma, organizzando un gruppo di adolescenti negli ultimi mesi dell’occupazione nazista; il particolare mondo di un efficiente imprenditore di Cremona, Edmondo Reckes, nei primi decenni del secolo, che racconta come riesce a diventare ricco fra speculazioni e conflitti famigliari; la quotidiana fatica compiuta di Dino Villani, pubblicitario famoso per annotare immagini e cose nei duri mesi fra la caduta di Mussolini e la Liberazione, a Milano, prima liberata e poi rioccupata dai nazifascisti; la suggestione del diario intimo di un’adoloscente veneta, di buona famiglia, Luisa Rebecca che narra l’amore per il fidanzato camionista; il sapore di grande affresco famigliare e paesano, nella memoria autobiografica di Ottavio Batistoni, impegnato a ricostruire il cammino della sua fortuna come calzolaio in mezzo secolo di storia, a Capolonda, vicino a Firenze; il tono dannunziano del diario intimo in cui un ragazzo di Sansepolcro, Aligi Petri, annota le tappe della propria educazione sessuale e civile, fra la vita di collegio e il ritorno a casa; e infine la tremula parabola della breve vita di un giovane di Cortona, Enrico Meucci, che scrive lettere disperatamente ansiose alla ragazza che ama, finchè riesce a sposarla e a fare due figli, per poi uccidersi, vittima della stessa fragile natura.

Tutto questo è sembrato ai Giurati frutto di una bella raccolta di testimonianze personali, che legandosi alla storia del nostro paese, hanno onorato ancora una volta il Premio Pieve – Banca Toscana, così originalmente fecondo di stimoli culturali.


Camillo Brezzi, Pietro Clemente, Beppe Del Colle, Vittorio Dini, Vivian Lamarque, Diego leoni, Dacia Maraini, Roberta Marchetti, Maria Rita Parsi, Nicola Tranfaglia, Saverio Tutino e Padre Ugolino Vagnuzzi

MOTIVAZIONE:
La Giuria Nazionale dell’undicesima edizione del Premio Pieve Banca – Toscana, riunita nel pomeriggio del 2 settembre 1995 a Pieve Santo Stefano, ha esaminato una rosa di dieci finalisti dominata in proporzioni schiaccianti dalla scrittura femminile. La Giuria ha ritenuto meritevoli del premio, ex aequo, due donne, Giovanna Cavallo, di Amantea, e Wanda Ormanto di Taranto, autrici di narrazioni che si sviluppano parallelamente nel quadro arcaico del Mezzogiorno, dai primi decenni del dopoguerra ad oggi. La Giuria intende sottolineare, fra l’altro, l’importanza del fatto che queste persone, strette da assillanti problemi intimi, hanno trovato nel diario un sostegno alla solitudine e la forza per prendere coscienza della propria dignità personale.

Giovanna Cavallo – “figlia bastarda” come la chiamavano in paese – ha scritto l’avvincente storia della sua lunga resistenza per far prevalere un bellissimo amore contro le consuetudini che avrebbero voluto la scelta del marito opera del genitore.

Wanda Ormano accumula, in uno scritto che evoca l’atmosfera del romanzo popolare, i tasselli di un destino crudele che porta una giovane donna a patire, dopo le sofferenze sul fronte di guerra, le umiliazioni di una guerra privata, tragicamente vana, contro l’imposizione della famiglia, che l’obbliga a sposare l’uomo che la disgusta.

La Giuria Nazionale ha voluto poi segnalare l’opera di Guglielmina Zucchino, diario di una malattia mortale: il disfarsi di una vita, alla quale si assiste dentro l’amore coniugale, è qui descritto con estrema parsimonia, ma comunica immediatamente al lettore il pianto che l’autrice si sforza di tenere fuori dal racconto. La Giuria rileva pure l’utilità della discussione che si è svolta intorno al diario di Alberto Maisto: la storia di un’adozione internazionale contenuta in un testo che, per l’equilibrio della composizione e l’importanza sociale del tema,mette a fuoco con abilità di scrittura la dimensione del dolore di un bimbo abbandonato e le componenti cronachistiche della sua ricerca da parte dei genitori adottivi.

Infine, la Giuria segnala il diario scritto da durante la guerra 1915 – 1918 e nel primo dopoguerra, da Adelaide Arborio Mella, interessante soprattutto per la straordinaria complessità dei piani che compongono una visione soggettiva e per l’inedito punto di vista che ne risulta, su un evento così largamente riconosciuto.

Beppe Del Colle, Vittorio Dini, Raffaele Flengo, Carlo Ginzburg, Mario Isnenghi, Vivian Lamarque, Rosetta Loy, Dacia Maraini, Roberta Marchetti, Corrado Stajano e Saverio Tutino

MOTIVAZIONE:
La giuria del Premio Pieve – Banca Toscana ha scelto, per la decima edizione, il libro delle memorie di guerra di Francesco Marchio, dal titolo “Si sentiva balbettare la parola bolsevismo…”, un racconto robusto e genuino scritto con linguaggio elementare, ma denso di effetti scenici e anche di spunti di ironia, che abbraccia, in un susseguirsi senza sosta di drammatiche vicende, sei anni di disavventure, vissute con l’occhio del disertore, dal 1914 al 1920, in tutto lo spazio del conflitto mondiale e delle sue conseguenze rivoluzionarie: dall’Austria alla Russia, dalla Siberia alla Cina. Marchio è il rapporto fra l’individuo e la storia nel vagare di una vittima che si sforza di rimanere in vita, e attivo, nonostante la brutalità degli eventi. L’entità dell’esperienza e la conclusione del racconto sono, in sintesi, la ragione di questo premio che non poteva mancare nella storia della rassegna.

Anche la memoria intitolata “Io Cantastorie” di Severina Rossi è stata indicata per una speciale menzione. La giuria ha apprezzato soprattutto il fatto che, essendo stato scritto a distanza di anni dagli eventi che descrive, questo libro di ricordi della Resistenza esprime una visione non eroica nè propagandistica di un passato di valorosa combattente. La Giuria ha valutato positivamente la purezza della scrittura nella rappresentazione di un ambiente contadino e della semplicitò con cui, in esso, avviene la scelta antifascista; e nella narrazione dei giorni dell’arresto e della prigione, prima della liberazione finale. Un ricordo sereno, che vede intrecciarsi l’esistenza di una persona con quella di altre, che affrontano con la stessa dignità le violenze della guerra e dello scontro politico e civile di cinquant’anni fa.

Beppe Del Colle, Vittorio Dini, Raffaele Flengo, Giorgio Galli, Carlo Ginzburg, Mario Isnenghi, Vivian Lamarque, Rosetta Loy, Dacia Maraini, Roberta Marchetti, Corrado Stajano e Saverio Tutino

MOTIVAZIONE:
La giuria del Premio Pieve – Banca Toscana per diari, epistolari e memorie autobiografiche, riunita a Pieve Santo Stefano il 4 settembre 1993 per la nona edizione del concorso, ha preso la decisione unanime di attribuire il premio della pubblicazione e di due milioni di lire all’opera di Antonio De Piero “L’Isola della Quarantina”.
Scritto nel 1922 a conclusione delle “disaventure” di emigrante in una stanzetta di Ellis Island (l’isola al largo di New York dove gli emigati erano tenuti in quarantena), il testo di De Piero riunisce in sè come in una favola realequalità di straordinaria vivezza narrativa e di evidente valore umano e documentario. La giuria ha apprezzato soprattutto il senso della misura con cui l’autore ha saputo rappresentare, a volte anche con una certa ironia, il mondo della povertà degli emigranti, senza nascondere la voglia di avventure che in fondo animava quel peregrinare fra le opere ferroviarie dell’Impero austroungarico e le miniere del Nordamerica.

Compiacendosi per l’alta qualità degli scritti selezionati dalla Commissione locale di lettura, la giuria vuole anche mettere in evidenza l’opportunità di trovare sbocchi editoriali, in libri o riviste, per altri quattro scritti che le sono parsi per diverse ragioni molto significativi.

Innanzitutto il libro di Orlando Tonelli, “Colibrì, scritto in un linguaggio particolarissimo, descrive in toni picareschi e poetici un’altra avventura di emigrante dei primi anni del secolo che si conclude con prigionia e fuga dalla Cajenna.

La giuria segnala poi il documento storico, preciso e originale, contenuto nel diario di un ispettore scolastico, Antonio Barasa di Ivrea, che porta a scoprire itinerari della difficile Unità d’Italia negli ultimi decenni del secolo scorso, tra fenomeni di corruzione e l’ostilità del Clero.

La Giuria si augura inoltre che possa essere presto messo a disposizione di studiosi e appassionati della storia contemporanea il testo di Margherita Ianelli, “Quei ragazzi”, una preziosa testimonianza che racconta con grande capacità affabulatoria le esperienze di domestica e di contadina nella zona di Marzabotto durante la guerra civile del ’43 – ’45.

E’ anche raccomandatala pubblicazione del carteggio fra un adolescente della Costa d’Avorio e una signora di Pontedera (“Mamma Italia” di Alfred Kobri Owa e Athe Gracci), da dove traspare il dramma psicologico di un rapporto di beneficenza, insieme necessario e malsano, nel quadro delle attuali tempeste migratorie e di comunicazione interraziale.

Beppe Del Colle, Vittorio Dini, Raffaele Flengo, Giorgio Galli, Mario Isnenghi, Vivian Lamarque, Rosetta Loy, Dacia Maraini, Roberta Marchetti, Corrado Stajano e Saverio Tutino

MOTIVAZIONE:

La giuria del Premio Pieve – Banca Toscana si è riunita a Pieve Santo Stefano il 4 settembre 1992 e ha deciso di attribuire anche quest’anno, come nell’edizione del 1990, due primi premi invece di uno. Il premio in denaro sarà dunque diviso in due parti. E saranno pubblicati entro la prossima primavera, dall’editore Giunti, nella collana “Diario Italiano”, due memorie di vita: “Quelli del niente” di Giuseppe Ferri” e “Cosa trovo fuori” di Claudio Foschini: due testi che hanno in comune una singolare ricchezza narrativa e l’appartenenza al mondo dell’emarginazione, in modi e momenti diversi della nostra storia.

Il Ferri racconta con toni picareschi la memoria di cose scomparse, ai margini della società contadina dell’aretino negli anni Quaranta. Foschini affonda lo sguardo nei suburbi della capitale, per narrare la propria esistenza di pregiudicato sullo sfondo della società macerata e rabbiosa in cui stiamo vivendo. Il primo ha impressionato la giuria per la grande semplicità e spontaneità di rievocazione, rispetto a una vicenda che lo vede affamato e in pericolo di vita, ma sempre pronto a salvarsi, come Pinocchio. Del secondo ha colpito invece la forza di una narrazione spesso sgradevole, che talvolta mette a disagio, ma che pure è valida per il peso che sa distribuire, lungo una sventurata esistenza tra le cose di famiglia e le ruberie, con una notevole capacità di entrare nei particolari.

La giuria esprime gratitudine alla Commissione selezionatrice di Pieve per il lavoro svolto e si compiace per la qualità degli scritti che le ha offerto di vagliare. E raccomanda anche di tenere conto, per eventuali altre pubblicazioni, dei diari di Giovanni Baleffi, “Capo Matapan“, e di Anna Arcangeli Sibbel, “Fuga da Berlino”, che hanno la possibilità di interessare molti lettori come testimonianze personali di indubbia vivezza e tragicità.

Beppe Del Colle, Vittorio Dini, Gianfranco Folena, Giorgio Galli, Natalia Ginsburg, Vivian Lamarque, Rosetta Loy, Miriam Mafai, Roberta Marchetti, Corrado Stajano, Saverio Tutino

MOTIVAZIONE:
La giuria del Premio Pieve – Banca Toscana, riunita a Pieve Santo Stefano venerdì 6 settembre 1991 ha deciso di dare il primo premio a Egidio Mileo, per la sua memoria intitolata “Il Salumificio”. Ha deciso anche di garantire la pubblicazione del libro autobiografico di Santuzza Lischi “Per tutte le Beppe” e di raccomandare caldamente, per un’edizione appropriata – il diario “Il primo bianco” di Virgilio Grossule.

Egidio Mileo racconta le sue sfortune di imprenditore con uno stile che non si ferma mai a riposarsi e a respirare, perchè troppo forte e troppo triste è l’inesorabile incalzare dei fatti. Muratore lucano, nato e cresciuto in un piccolo centro, Mileo, volendo trasformarsi in grande imprenditore, sbaglia tutto dal principio alla fine perchè è ingenuo e disarmato ma soprattutto èerchè la buona fortuna, nel suo destino non c’è, e nell’Italia degli affari e della finanza, anche la fortuna ha bisogno di una spinta. Uscendo da un meridione che finora ci ha dato solo scorci di mondo contadino, qui si racconta una storia che contiene un ritratto inedito sull’ambiente delle banche e dei clienti, del terziario e della micro imprenditoria, sull’Italia degli “spicciafaccende”, tra i quali Mileo perde il filo dell’impresa che voleva creare: un salumificio come quelli emiliani. La voce del protagonista ha un’intensità dolorosa, di una qualità da ricordare, e la verità umile, ruvida e fosca di un tronco di vita italiana odierna traspare dalle sue pagine con semplicità ignara ma forte.

Il testo di Santuzza Lischi attira l’attenzione su una situazione di disagio profondo, più diffusa di quanto comunemente si possa immaginare: quella delle persone immerse in una sindrome depressiva. L’ingresso imprevedibile nel mistero della malattia viene descritto nei ricordi precisi della Lischi con dettaglio e sincerità utili anche agli studiosi. E con pudore, ma anche con toni autentici sono delineati i rapporti che le rimangono con il marito e i due figli. Nel complesso della narrazione, poi, assume particolare risalto l’intreccio di relazioni attive che si stabiliscono tra lei e le altre donne vittime dello stesso male e anche con i medici che si succedono nel curarla, fino all’importante incontro con uno psicoanalista. Il percorso, minuziosamente rievocato negli anni, culmina positivamente in una presa di coscienza che, se non elimina il male, si traduce nella pratica e nel progetto di un’inizizativa di sostegno “a tutte le Beppe” – dal nome di una amica contadina che non è riuscita a sopravvivere alla depressione.

Il diario di Virgilio Grossule, scritto agli inizi del secolo nel cuore dell’Africa, è apparso molto importante perchè attiene strettamente al mondo plurirazziale nel quale stiamo ora vivendo. E’ la registrazione, effettuata con puntualità quotidiana, di una missione che vorrebbe essere umanitaria – il mestiere dell’autore è quello di medico – al servizio dei colonizzatori belgi nelle regioni che attorniano il corso del fiume Congo. Descrive dal punto di vista dei conquistatori bianchi, ma anche con spunti di oggettività interessanti, il rapporto che gli europei instaurano con una terra sempre più rubata, con i negri sottomessi, intimoriti, sfruttati e a poco a poco spogliati e inibiti nella manifestazione della loro cultura, violenta al pari di quella bianca. La visione di una realtà con limitate mediazioni fra le due parti, dove il medico osservatore si fa a poco a poco anche protagonista del potere, è il contenuto di questo diario. Forse debitamente selezionato secondo una logica interdisciplinare oppure semplicemente riordinato nelle fasi diverse che descrive, l’opera di Grossule potrebbe diventare un documento di una “cultura a distanza” – cioè di un modo di raccogliere modelli di vita, maniere di pensare, di sapere, di fare, di subire gli altri, secondo una concezione eurocentrica. E’ comunque soprattutto un documento personale che riesce a riepilogare giorno per giorno, “in diretta”, la fase degli inizi del colonialismo europeo in Africa, dunque una testimonianza rara nel suo genere e uno strumento di lavoro che potrà interessare anche all’estero.

Beppe Del Colle, Vittorio Dini, Gianfranco Folena, Giorgio Galli, Natalia Ginsburg, Vivian Lamarque, Rosetta Loy, Miriam Mafai, Roberta Marchetti, Corrado Stajano e Saverio Tutino

MOTIVAZIONE:
La giuria del Premio “Pieve -Banca Toscana”, riunita a Pieve Santo Stefano il 7 – 9 – 1990, ha deciso di attribuire quest’anno due premi ( un milione e mezzo ciascuno e la pubblicazione ) a due delle dieci opere finaliste: “Vita e morte a San Patrignano” di Natalia Berla e “La Spartenza” di Tommaso Bordonaro.

Le lettere di Natalia Berla, scritte in una pausa di illusoria guarigione dalle ferite aperte dalla droga, rivelano una natura mite, ingenua, generosa alle prese con un estremo desiderio di affetto, inascoltato. Emerge da questa struggente catena di messaggi tutto un mondo di piccole cose alle quali Natalia affida tutto il suo attaccamento alla vita destinato ad affievolirsi a poco a poco. Nelle ultime lettere questo mondo si oscura, poi anche la scrittura tace. Tre mesi dopo la ragazza si uccide. E’ una testimonianza che va ricordata anche per l’instabilità e l’assenza che si scopre intorno a chi si droga.

“La Spartenza” di Tommaso Bordonaro racconta la vita di un contadino siciliano attraverso i soli e nudi fatti che affiorano nella sua memoria. Scritta con una concisione estrema – bella e mirabile – questa autobiografia disegna in brevi tratti la traiettoria intera del passaggio di una famiglia dalla misertia alla condizione “borghese”, atttraverso liti, malattie, morti  amori, perdite ed emigrazione in America. Alla fine l’autore si dice soddisfatto della sua vita passata “un po’ male un po’ bene”. Una straordianria narrazione ricca anche di invenzioni di scrittura, tratte dalla riserva espressiva della cultura contadina.

Vittorio Dini, padre Nazareno Fabbretti, Giorgio Galli, Natalia Ginsburg, Rosetta Loy, Miriam Mafai, Roberta Marchetti, Luigi Santucci, Corrado Stajano e Saverio Tutino

MOTIVAZIONE:
La Giuria Nazionale del premio Pieve – Banca Toscana 1989 si è riunita il 7 settembre a Pieve Santo Stefano per esaminare i testi dei dieci finalisti designati dalla Commissione locale di lettura.  La Giuria  – apprezzando in generale il valore documentario e di scrittura di tutti i finalisti – ha accordato speciale attenzione a quattro di questi scritti: il dario di Irnerio Forni “Czerna Gora”, l’autobiografia di Liberale Medici, “Schols Cantorum”, quella di Rosa Romanelli, “Donna di Andria”, e lettere di Rita e Daniele Montanari, intitolato “Cara sorella, caro fratello”.

Dopo una discussione approfondita, che ha messo in luce la validità dei diversi pareri – tra i quali è emersa anche qualche voce caldamente favorevole al libro di Eugenio Bargilli, “Un uomo promesso” – la Giuria ha deciso, ai voti, di attribuire il Premio 1989 all’autobiografia di Liberale Medici. Ha formulato però anche una raccomandazione: quella di tenere presenti per una possibile pubblicazione, nell’ordine, il diario di Irnerio Forni e – a parità di voti – le lettere dei fratelli Montanari e l’autobiografia di Rosa Romanelli.

L’autobiografia di Liberale Medici è stata prescelta per la grande immediatezza e grazia con la quale l’autore rende con evidenza la via e la figura di un contadino del nostro tempo, e per  i molti momenti poetici che sa creare nella fitta descrizione di paesaggi, persone e di eventi quotidiani e di guerra che riempiono le sue pagine, la scrittura grammaticalmente inesperta non nuoce quasi mai alla lettura, tenuta viva dall’attenzione per i dettagli e dai ricordi particolarmente espressivi attraverso i quali si dipana la storia di un’esistenza tipica del nostro mondo agricolo, tra le due guerre e nel dopoguerra.

Il diario di Irnerio Forni ha sfiorato un giudizio di parità con l’autobiografia di Liberale Medici, grazie ad altri meriti: di questo scritto è stato particolarmente apprezzata la serietà del documento storico e il concreto valore civile. E’ il racconto lucido e teso di un ufficiale medico, sulle geste generose della Divisone Garibaldi – costituitasi nel Montenegro, all’indomani dell’8 settembre, nell’unità di intenti di soldati italiani e jugoslavi, per la lotta contro l’esercito nazista.

L’autobiografia di Rosa Romanelli è stata ritenuta meritevole di attenzione come raro e autentico documento sulla vita di una donna povera del mezzogiorno: un’esistenza senza luce, priva di conforto e di sostegno, una storia di un mondo avverso affrontato con i sentimenti di una bambina ignara e con la sofferenza di un personaggio da tragedia. Un testo  di importante struttura antropologica, che costituisce un vero laboratorio di scrittura, rossa ma reale.

Infine la Giuria ha sottolineato l’interesse che suscitano le lettere dei fratelli Montanari: nascendo da una spontanea necessità di comunicazione famigliare in un ambiente colto della provincia emiliana, questo carteggio assume alla fine l’involontaria portata di un esemplare, delicato e tragico al tempo stesso racconto di vita: la straziante lettera finale rivolta da Rita al fratello perduto illumina un fenomeno sociale e psicologico di importanza generale, attraverso un’intensità espressiva, raggiunta quasi a riscatto del dolore patito.

Tina Anselmi, Vittorio Dini, Padre Nazzareno Fabbretti, Nuccio Fava, Giorgio Galli, Natalia Ginzburg, Miriam Mafai, Roberta Marchetti, Luigi Santucci, Paolo Spriano, Corrado Stajano e Saverio Tutino

MOTIVAZIONE:
La Giuria del Premio Pieve – Banca Toscana, riunita a Pieve S. Stefano il 7 settembre 1988, dopo aver esaminato le dieci opere designate come finaliste dalla Commissione di lettura, ha deciso all’unanimità di attribuire il primo premio (due milioni di lire e la pubblicazione) all’autobiografia di Raul Rossetti “Schiena di vetro”.

Fra i lavori presentati nella forma specifica di diario la Giuria ha considerato a lungo, anche il particolare valore dell’opera di Stefano Procopio “A tu per tu con me stesso”.

Il testo di Rossetti, al quale viene attribuito il premio, racconta con il piglio e la maestria di uno scrittore naturale, eventi che trascorrono dagli anni Trenta agli anni Cinquanta. L’autore è un ex minatore emigrato in Belgio che, in questo scritto si dimostra capace di tener desta la curiosità trasmettendo l’esperienza di una vita quotidiana tra volontà di fare del primo dopoguerra e la fatica e i rischi del lavoro nel sottosuolo. La sua capacità di disegnare ritratti femminili, il suo dono nel creare divertimento, la freschezza nel descrivere fatti, personaggi e ambienti sono qualità genuine di un autobiografismo popolare.

Il diario di Stefano Procopio esprime in forma interiore i grandi interrogatividella vita nel passaggio dall’adolescenza alla giovinezza. Colpisce nel suo scritto il senso ricorrente della morte, che non offusca la sua vitalità, in un alternarsi continuo degli stati d’animo di un ragazzo di vent’anni.

Tina Anselmi, Vittorio Dini, Padre Nazzareno Fabbretti, Nuccio Fava, Natalia Ginzburg, Miriam Mafai, Roberta Marchetti, Lino Rizzi, Luigi Santucci, Paolo Spriano, Corrado Stajano e Saverio Tutino

MOTIVAZIONE:
La giuria del Premio Pieve – Banca Toscana riunita a Pieve S. Stefano il 7 settembre 1987, ha deciso all’unanimità di attribuire il primo premio (due milioni di lire e la pubblicazione) al libro di Sergio Lenci “Un colpo alla nuca”, lungo memoriale di una vittima degli anni di Piombo. L’autore porta dall’epoca dell’attentato – 1980 – una pallottola nel cranio, e il suo tormento è quello di riuscire a capire le ragioni e scoprire i mandanti del tentativo di assassinio dal quale è sopravvissuto. Non crede nell’irrazionalità di certi atti e cerca di ricostruire lo schema di una spiegazione plausibile. La Giuria, aldilà delle ipotesi via via formulate in questo senso dall’autore, ha valutato il suo memoriale come un documento unico del suo genere: un lungo viaggio nella solitudine e nel dolore particolare di una vittima del terrorismo sopravvissuta nell’indifferenza e nel rifiuto del sistema e della società.

La giuria ritiene inoltre di dover dare il maggior risalto possibile a due altre opere – “Diario di una maestra” di Franca Marinelli e “Straniero indesiderabile” di Piero Riccobaldi – impegnandosi a favorirne la pubblicazione.

La scrittura di “Diario di una maestra”, esemplarmente sobria e di pari efficacia,aiuta il racconto della cruda esperienza di una giovane insegnante in un paese della montagna veneta nei primi anni Cinquanta.

“Straniero indesiderabile” è la narrazione incalzante della vita di un uomo che, per sfuggire al Fascismo sceglie l’America dove viene a contatto con una società che per lui sarà altrettanto amara.

Natalia Ginzburg, Tina Anselmi, Roberta Marchetti, Vittorio Dini, Lino Rizzi, padre Nazareno Fabbretti, Luigi Santucci, Paolo Spriano, Corrado Stajano e Saverio Tutino

MOTIVAZIONE:
La giuria del premio Pieve-Banca Toscana-1986 riunita a Pieve Santo Stefano nei giorni 7 e 8 settembre, ha deciso a maggioranza di attribuire il primo premio alle lettere di Emilia, contenute nel testo intitolato “Le parole nascoste”.

La giuria è stata particolarmente colpita dall’epistolario di Emilia (non conosciamo ancora il suo cognome) anzitutto per l’assoluta autenticità dei documenti: un gruppo di lettere scritte all’amante in un lungo arco di anni, fra il 1872 e il 1881. Inoltre siamo stati colpiti dalla forza con cui appaiono le fisionomie delle persone e l’atmosfera dell’ambiente, al punto che ci siamo trovati di fronte a una storia umana densa e compiuta in cui si rispecchia la vita di un certo ceto sociale dell’ultimo Ottocento, e insieme, la situazione di una coppia di adulteri fra le mille difficoltà di ogni specie che il costume di allora imponeva a una segreta vicenda di amore. Il fascino di questi manoscritti è insieme commovente, comico e infine tragico. E benché la donna che scrive non parli che di sè, della sua famiglia, dei suoi problemi finanziari, delle sue frequentazioni e del suo amore, tuttavia il mondo italiano del tempo sorge con estrema evidenza nei suoi aspetti minimi, formando intorno a questa lunga storia un quadro illuminante e veritiero.

La giuria, dato che il primo premio non può essere materialmente attribuito a Emilia nè ai suoi eventuali eredi e dato pure che coloro che erano in possesso del manoscritto hanno deciso di devolvere all’Archivio di Pieve S. Stefano l’entità del premio, ha deciso di suddividere i due milioni di lire, tra altri tre concorrenti che sono sembrati degni di grande attenzione.

Ad Angelo Sarro, autore di “Tempi Bruschi” viene attribuito un premio di un milione di lire. Il suo testo è una memoria di guerra e di prigionia, raccontata con parole estremamemte semplici, che rendono con straordinaria efficacia la drammaticità di una vicenda svoltasi tra gli eccidi di Cefalonia e Corfù e i lager nazisti in Polonia.

Ad Antonio Dessì e Violetta Calanca vengono assegnati ex-aequo due premi di mezzo milione ciascuno.

Di Antonio Dessì “La Maddalena V” è una appassionata descrizione di un rapporto vitale tra un uomo e la sua barca da pesca,tra l’uomo e la natura, tra l’uomo e il mare.

Il testo di Violetta Calanca “Crisalide” rievoca drammaticamente la storia di una malattia che spezza l’esistenza di una giovane donna, bella e felice, precipitandola in uno stato di estrema sofferenza fisica e morale; e mette in risalto il coraggio con il quale la donna reagisce alla propria sventura.

La giuria segnala infine e premia con medaglia d’oro tre testi: di Giordano Bruno Genghini il “Diario Xerografico”, doloroso consuntivo della propria esistenza confessato con estrema schiettezza e con una autocritica dura e ironica. Il suo pregio è di aver dato voce ad una generazione che non usa confessarsi a voce alta.

Di Gloria De Poli ci ha colpito il diario di viaggio “Da Milano a Milano” che ripercorre l’itinerario raccontato nel romanzo di Kerouac “Sulla strada”, trovandosi gravemente impedita nel camminare e tuttavia disponibile e aperta ad ogni sorta di esperienza e conoscenza;

Di Aldo Polcri, “Lettere ai famigliari”, soprattutto per le pagine in cui, in segno di amore ai suoi più stretti parenti, l’autore offre descrizioni ricche di immagini e di personaggi incontrati durante la tragedia del terremoto di Messina e nella guerra di Libia, e ancora sul fronte e nell’ospedale militare durante la prima guerrra mondiale.

 

Natalia Ginzburg, Pasquale Festa Campanile, Vittorio Dini, Roberta Marchetti, Luigi Santucci, Paola Spriano, Corrado Stajano, Saverio Tutino e Padre Ugolino Vagnuzzi

MOTIVAZIONE:
La giuria del Premio Pieve, riunita il 7 setembre a Pieve S. Stefano, dopo aver esaminato le dieci opere selezionate tra le centoventi pervenute al concorso, ha deciso unanimamente di assegnare il primo premio da due milioni di lire ad Antonella Federici per il suo diario epistolare dal titolo “Lettere ai miei”.

Nella sua sofferta emotività, nella semplice efficacia letteraria e nel respiro autentico con cui esprime un’esistenza precaria, l’opera della Federici rispecchia un certo modo di sentire attuale e il travaglio dei rapporti umani delle nuove generazioni.

La Giuria segnala inoltre per la pubblicazione, nell’ordine, altro quattro opere: Ernst Wurmbrand, “Memorie di un ufficiale di Francesco Giuseppe”, per l’incalzante autobiografia di militare ottocentesco, portatore aristocratico di una condizione di superiorità e di pregiudizio, nel quadro delle guerre d’indipendenza del nostro paese.

Carlo Cibaldi, “Testamento di un erborista”, per il genuino carattere diaristico e per il racconto del quotidiano, in un mondo scomparso.

Pasquale Morosini, “I mestieri di Pasqualino”, per la freschezza, l’immaginazione e la serena naturalezza con le quali racconta la dura vita di un bambino lavoratore nella provincia abruzzese degli anni Cinquanta.

Alba Maria Pane, “La bambina di via della Misericordia” per la garbata memoria che permette all’autrice di rivivere l’adolescenza attraverso un’anedottica rischiarata da aperture di vena poetica.