“2 settembre 1938
Leo telefona da Viserba – ore 14
sospeso dall’insegnamento…
il razzismo sulle orme del nazismo…
Col 15 ottobre via dal Gozzadini…
Col 15 dicembre pensionato dispensato
Commosso commiato del Rettore Ghigi e del Direttore Borsari…
Il preside non si fa vivo
Le leggi raziali…
I bambini esclusi dalle scuole ariane…
La domanda di discriminazione caldamente appoggiata dalla Prefettura parte.
Finisce il 1938 […]”
Il 2 settembre del 1938, Maurizio Pincherle, ordinario di Clinica pediatrica all’Università di Bologna, inizia ad annotare in un diario gli avvenimenti della sua famiglia. Il figlio Leo, una delle menti migliori della Fisica del tempo, viene sospeso dall’insegnamento e di lì a poco lui stesso è espulso dall’Albo dei medici e costretto a lasciare la cattedra a seguito dell’entrata in vigore della legislazione antisemita per “la difesa della razza”. Alla privazione di qualsiasi diritto civile, fa eco la minaccia di rappresaglie e la paura di essere deportati o trucidati. Nel settembre del ’43, la famiglia Pincherle abbandona Bologna, inizia un periodo di fuga scandito dalla ricerca affannosa di rifugi che diventano sempre più precari, dal pericolo di girare con documenti falsi, dal timore delle spiate, dalla necessità di procurarsi adeguati mezzi di sostentamento, mentre il figlio Mario si unisce ai partigiani sui monti del Sassoferrato. Nell’agosto ’45 il rientro a Bologna, ma dovrà attendere altri quattro mesi per essere riammesso alla professione medica, con un ruolo marginale in quella che era stata la sua clinica, privato dei suoi assistenti e della sua scuola.