“Il giorno 3 marzo 1917 partii per presentarmi al distretto; giornata molto brutta, benché l’inverno fosse al termine ma la neve si faceva beffe di noi, io più triste che mai col cuore angoscioso e le lacrime agli occhi, parevo quasi fuori di me nel saper che fra pochi istanti avrei dovuto lasciare i miei genitori, che già privi erano di uno, e per di piu era nelle mani del barbaro nemico; lascio immaginare il dolore che regnava in famiglia nel dover allontanarmi anchio e lasciare i genitori vecchi fra gli stenti del lavoro. Cercavo farmi coraggio, e farlo agli altri colla speranza che le cose potessero risolversi sempre in bene. Giunta l’ora della partenza fu come un fulmine il pianto in tutta la famiglia e talmente forte che il cuore mi balzava come una palla elastica facendomi privo del coraggio di abbracciare la famiglia […]”
Un anno di guerra vissuto e raccontato da un giovane contadino piemontese, ultimo di sei figli, costretto ad abbandonare, nella primavera del 1917, l’amata famiglia. Carlo, inviato sul fronte in Veneto, in Trentino e in Friuli, si vede obbligato a partecipare a una guerra della quale non comprende il significato, la cui portata tragica è per lui inimmaginabile. Si sente inadeguato, fuori posto, ha paura, è costretto, suo malgrado, ad accettare il grado di Caporale di Fanteria.
Affronta la dura vita di trincea, vede morire intorno a sé i compagni colpiti dal fuoco austriaco, è sbandato nei drammatici giorni della rotta di Caporetto, quando passivamente segue la massa ormai senza controllo. Grazie a un’inattesa licenza premio, può andare a casa per dieci giorni e riabbracciare la famiglia; il ritorno al reggimento, pur nella sua durezza, è quasi un naturale evolversi degli eventi: pazienza ora sono stato in licenza, anche morire non mi rincresce.