Kinshasa, 29.11.92.
Carissimi tutti, sono arrivata stasera da Kimbau. Ho avuto un mese di lavoro durissimo: tutta la responsabilità sulle mie spalle, un peso enorme. Eppure, sapete, sono nuovamente… me stessa. Essere sé stessa per Chiara Castellani significa essere tornata in prima fila a combattere le malattie in una terra piena di bisognosi. Medico chirurgo specializzata in ginecologia e ostetricia, terminati gli studi a partire dal 1983 trascorre sette anni in Nicaragua, paese del Centro America afflitto dalla guerra civile, dov’è impegnata tanto in sala operatoria quanto nella realizzazione di programmi di sviluppo sanitario. Dopo una breve parentesi in Ecuador, nel 1991 arriva in Africa: la destinazione è Kimbau, piccola località dello Zaire, oggi Repubblica Democratica del Congo, distante 500 chilometri dalla capitale Kinshasa. È un’area dove proliferano tubercolosi, Aids, malaria e altre malattie: a Chiara viene affidata l’impresa di dirigere l’ospedale locale, un avamposto abbandonato dai belgi al termine della dominazione coloniale. La struttura, rimasta a lungo in abbandono, tra i problemi più urgenti presenta quello della mancanza di acqua. Da questa esigenza nasce un progetto del quale Chiara parla con insistenza nelle lettere che invia a parenti, amici e colleghi: portare l’acqua dal fiume all’ospedale sfruttando l’energia del fiume stesso. Ma a complicare le cose c’è la grave instabilità politica del Paese, in mano al governo corrotto e violento del dittatore Mobutu Sese Seko, i disordini che si susseguono la costringono a un provvisorio rimpatrio per ordine dell’Ambasciata italiana. Chiara non demorde e appena ottiene il via libera torna a portare le sue competenze mediche e organizzative nel cuore dell’Africa, offrendo al prossimo tutta sé stessa anche a rischio della propria incolumità: così accade che il 6 dicembre 1992 è vittima di un incidente d’auto mentre si sposta all’interno di un’ambulanza su una strada dissestata. Ero soprapensiero e non badavo alla strada. È stata una frazione di secondo. L’autista ha perso il controllo del veicolo, ha sbandato più volte e poi si è rovesciato dal mio lato. Inutilmente ho cercato un appiglio, ho messo il braccio per proteggere la testa. L’ho sentito bruciare, stritolare, maciullare, il mio braccio, fra l’asfalto e il peso della Land Rover sovraccarica. Fino all’arresto. Il mio braccio era ancora sotto il veicolo, mi sembrava che penzolasse in un buco senza fine. Quello che avviene dopo è tragico e miracoloso. Riesce a sopravvivere al trasporto fino a Kinshasa dove subisce l’amputazione del braccio destro. Poi il trasporto in aereo fino a Roma, al Policlinico Gemelli e successivamente a Budrio, dove le viene applicata una protesi. Nonostante il grave incidente Chiara non si ferma: recuperate le forze torna in Africa, prima un’importante parentesi in Angola e a partire dal 1994 ancora in Congo, presso l’ospedale di Kimbau che da quell’anno in poi diventa la sua nuova casa. Con abnegazione, dedica ogni giorno alla ricerca di aiuti economici che sostengano i progetti di sviluppo per la zona, a partire dal sogno di portare acqua ed elettricità all’ospedale, al finanziamento di borse di studio per l’istruzione medico-infermieristica dei giovani, ai gemellaggi tra le scuole italiane e quelle del posto. Nell’ottobre 2006 può finalmente scrivere: Ieri verso mezzogiorno, sotto il caldo afoso della stagione delle piogge, è successo un miracolo, o meglio QUEL MIRACOLO che avevo aspettato per oltre 15 anni, sognando ad occhi aperti: abbiamo aperto un rubinetto nell’Ospedale, ed è sgorgata acqua pulita. Mentre toccavo quell’acqua limpida e fresca come per controllare se non era finta, ho sentito le lacrime agli occhi.