Quel giorno pensavo ancora di poter avere il controllo su ogni cosa: avevo da poco compiuto trent’anni e condividevo un grazioso appartamento con un paio di amici e col mio ragazzo, Emanuele, a Padova, dove ci eravamo conosciuti e dove i sogni non la smettevano di avverarsi. Avevo il lavoro che ritengo il più entusiasmante possibile, ovvero facevo ricerca come assegnista in biostatistica, insegnavo all’università e avevo una valanga di progetti strampalati per la testa che si stavano pian piano avverando. Ero insomma in quella disposizione d’animo in cui tutto sembrava così facile, possibile e allegro da suggerirmi che il tempo presente fosse l’unico che avesse senso di esistere. Mi sentivo come ci si sente in motorino col vento tra i capelli e le mani alzate prima dello schianto. Lo “schianto” per Paola arriva la sera del 14 febbraio 2017, a casa, in un momento di vita comune: la sua gattina la graffia e succede qualcosa di inaspettato. Un grumo di sangue si è depositato nel cervello, Paola è vittima di un ictus ischemico cerebrale, ma nessuno può ancora immaginarlo. Ignara com’ero del fatto che il tempo stesse erodendo i miei neuroni che, come ali di farfalla, una volta offesi avrebbero perso per sempre la polvere che permette loro di volare. E che il mio cervello, la mia roccaforte, si stava sgretolando di minuto in minuto senza che io me ne rendessi conto. Non sapevo cos’era ad impedirmi di parlare, ma infondo di dolore non ne stavo provando e, per la mia stupida ingenuità, quello era il termometro della gravità di ogni malanno. Per mia fortuna gli altri chiamarono immediatamente il 118. Purtroppo, dall’arrivo in ospedale alla diagnosi corretta trascorreranno molte ore, nel frattempo Paola sprofonda in uno stato di incoscienza, dal quale si riprende solo dopo un delicato intervento di trombo-aspirazione. Al risveglio scopre progressivamente i danni che ha subito il suo corpo, la paralisi della parte destra, l’impossibilità di comunicare. Ma la dimostrazione d’affetto che riceve dai suoi amici, dal suo Emanuele e dai suoi familiari, che si precipitano al suo fianco in terapia intensiva, riaccende la scintilla della vita. Ha inizio una lunga riabilitazione, che in prima battuta svolge in un ospedale del Lido di Venezia, dove con grande impegno torna a camminare, a compiere gesti quotidiani come insaponarsi i capelli e allacciarsi le scarpe. La strada del recupero sarà lunga e piena di difficoltà, nel privato, in ambito lavorativo, nello sfiancante rapporto con la burocrazia. Durante questi cinque anni ho capito che una vita normale non esiste, ma piano piano la mia ha iniziato ad avvicinarsi alla cosa più simile alla vita che ricordavo. Un po’ alla volta si torna a vedere la luce, a ridere e a sognare. Il diario di Paola si conclude nell’ottobre 2022, alla vigilia di un viaggio verso l’Amazzonia atteso per anni. Perché l’antidoto migliore per me è e resterà sempre avere tutta la polvere del mondo in faccia.