Albertina Castellazzi

Fendevo l’aria

memoria 1937 -1972
Anno del Premio: 2024

“La mattina, quando mi preparavo per andare a scuola, mi bastava chiudermi la porta di casa alle spalle per dimenticare tutta quella realtà fatta di ricordi dolorosi e non, e di quell’uomo solitario che mi guardava uscire con una espressione di stupore e di incredulità. Fendevo l’aria, camminando con passo svelto, determinata a buttarmi in quella nuova realtà ad ogni costo”. È lungo il percorso che deve compiere Albertina per raggiungere questo stato d’animo e ciò che sottende: il lavoro in una scuola materna, uno spiraglio di emancipazione e libertà. La storia della sua vita inizia in salita, la madre muore nel 1941 quando ha solo 4 anni e “da quel momento cambiò tutto, mio padre non era più un sottufficiale felicemente sposato con prole, ma un povero vedovo oberato da quattro figlie e il problema principale fu a chi affidare le figlie mentre era al lavoro?”. Inizia la trafila dei collegi, prima dalle Orsoline a Modena poi a causa dei bombardamenti il trasferimento a Ligorzano, in uno stabile che viene occupato dai tedeschi. Albertina racconta le piaghe della guerra civile che coinvolgono la sua famiglia, parenti uccisi dopo l’armistizio perché ritenuti collaboratori dei nazisti: “si diceva che la zia Bianca era stata buttata nella fossa che ancora respirava mentre le gettavano la terra addosso, mio zio lo avevano picchiato poi gli avevano sparato”. E il non facile rientro a Milano dopo la pace. Ma quel che manca più di tutto è l’armonia in famiglia: il padre impone regole rigide in casa e il nucleo si sgretola, la sorella maggiore Elisabetta scappa e Piera, malata di depressione, si suicida nel 1956. Albertina che soffre di epilessia e stenta negli studi, sarebbe destinata a lasciare la scuola per custodire la casa ma si ribella: ama leggere e scrivere, sa di avere qualità e lotta per ottenere un diploma magistrale per la scuola materna. È il primo passo verso una rinascita che fatalmente passa anche attraverso la morte del padre, nel 1958, e un legame sempre più stretto con l’ultima sorella che le è rimasta a fianco: “Cominciammo così la nostra vita di donne libere, io avevo 21 anni, Anna 24”. Le prime socializzazioni, qualche festa, gli spettacoli a teatro, una metamorfosi da portare a compimento con la conquista di un posto di lavoro nel mondo della scuola che Albertina, malata di tubercolosi, ottiene con grandi sacrifici. “Gli eventi della società milanese di allora mi furono favorevoli. Milano in quel periodo era strapiena di bambini, visto che tantissimi italiani del sud immigravano al nord per trovare lavoro. Si decise di formare classi di 50 bambini invece dei soliti 35 e di aprire altre sezioni. Le classi esistenti non bastavano alle richieste d’iscrizione. Fu la mia fortuna e a settembre ottenni le sei ore”. Albertina continua a fendere l’aria, incontra Sergio e se ne innamora, nel 1972 nascerà Irene.

MOTIVAZIONE DELLA GIURIA NAZIONALE:
La vincitrice del Premio Pieve Saverio Tutino 2024 è Albertina Castellazzi, con il testo
Fendevo l’aria.
Nata a Milano nel 1937, la vita dell’autrice inizia in salita. Nel 1941, quando ha solo quattro
anni, muore la madre e Albertina resta con il padre e tre sorelle a far fronte al difficile
periodo della Seconda guerra mondiale. Il padre è un sottufficiale e non può occuparsi da
solo delle figlie, che vengono così mandate in collegio, dalle Orsoline a Modena e poi a
Ligorzano, in uno stabile che dovranno condividere con gli occupanti tedeschi.
Albertina racconta le pieghe della guerra civile con uno stile assolutamente personale, di
una precisione chirurgica, fatto di flash fulminei e dettagli ad alta definizione. Memorabile la
pagina che descrive senza eufemismi l’uccisione degli zii dopo l’armistizio perché ritenuti
collaboratori dei nazisti. La fine della guerra vede il ritorno delle figlie in una Milano dove
mancava la luce, il cibo, la stoffa per i vestiti, ma è anche una città alle soglie di una
grandissima trasformazione.
In questa straordinaria memoria, che ha lo stesso passo di un romanzo di formazione, lo
sguardo di Albertina sul padre è di particolare interesse. Lui è volitivo, perentorio, un uomo
forte che impone regole ferree ma non riesce a tenere unita la famiglia, che piano piano si
sgretola. La sorella maggiore, Elisabetta, scappa, mentre Piera, malata di depressione, si
suicida nel 1956. Albertina, che soffre di episodi di epilessia, stenta negli studi e sembra
destinata a un ruolo marginale, a lasciare la scuola per custodire la casa. Ma a quella gabbia
si ribella: ama leggere e scrivere, e anche grazie alla forza che trae dall’amore per i libri,
lotta per ottenere un diploma magistrale per insegnare alla materna. Questo impiego sarà il
primo passo di un’emancipazione che passa anche per la morte del padre, nel 1958, e che
tesse un legame strettissimo con la sorella che le rimane accanto.
“Cominciammo così la nostra vita di donne libere, io avevo 21 anni, Anna 24.”