Raffaele Favero

Rafiullah

epistolario 1967-1983
Milano, Terre di mezzo, 2006
Anno del Premio: 2005

Attraverso lettere ai genitori e alla sorella, un giovane milanese, interessato alle culture orientali, racconta i propri spostamenti in vari stati asiatici e le esperienze di confronto con altre religioni, fino alla propria conversione all’islamismo. Nel 1974 si sposa con una giovane australiana e con lei si trasferisce in Australia dove nascono tre figli. L’invasione dell’Afghanistan da parte dell’Unione Sovietica lo riporta a fianco dei mujahiddin a filmare la loro resistenza. L’ultima lettera precede di tre mesi la sua morte sotto un carro armato.

MOTIVAZIONE DELLA GIURIA NAZIONALE:
La Giuria Nazionale del XXI° Premio Pieve – Banca Toscana per diari, memorie, epistolari inediti, riunitasi a Pieve Santo Stefano il giorno precedente alla manifestazione finale ha deciso di valorizzare con il primo premio del concorso 2005 l’epistolario di Raffaele Favèro che ha per titolo “Rafiullah”. Era dal 1990 che la Giuria non premiava con il riconoscimento maggiore un epistolario. Se ne è presentata l’occasione grazie all’opera di Favero, un giovane milanese che nel 1967 è partito – come molti della sua generazione – verso l’Oriente alla ricerca della serenità personale e nel tentativo di comunicare con una società diversa dalla propria. Attratto dall’islamismo, Favero è diventato amico dei mujahedin afghani dimostrando come la questione dell’incontro tra le religioni sia possibile senza ricorrere alla violenza. Nelle lettere che scriveva ai genitori e alla sorella Patrizia, rimasti a Milano, Raffaele raccontava con ironia e sfrontatezza il suo adattamento quindicennale (1967-1983) in terre straniere di cui ha assorbito usi e costumi, sempre cercando nel rapporto con gli altri e nella vita comunitaria la propria cifra di esistenza nel mondo. Conosciuta una ragazza australiana, Favero la sposa e va a vivere con lei nel suo Paese. Ma proprio perché il rapporto con l’Afghanistan non è stato soltanto un episodio di passaggio, Favero torna più volte nel Paese asiatico che è diventato la sua patria d’elezione. Soprattutto, vi torna quando i russi lo invadono, nel 1980. Ed è proprio qui che troverà la morte, nel 1983, sotto un carro armato guidato da un dissidente afghano che combatteva a fianco dei sovietici. Le sue lettere sono un prezioso documento delle inquietudini interiori di un ragazzo, poi uomo, sempre in fuga; non sono scritte per farne un libro (anche se ora lo diverranno grazie all’editore Terre di Mezzo), ma è proprio questa loro autenticità che le rende di straordinario interesse umano e documentario.