Gaddo Flego

Un milione di vite

memoria 1994
Milano, Terre di mezzo, 2014
Anno del Premio: 2014

Giugno 1994: il genocidio dei Tutsi insanguina il Rwanda. Gaddo Flego è lì, ha trent’anni e lavora per Medici Senza Frontiere. Una testimonianza unica per ripercorrere “da dentro” una vicenda fra le più buie della nostra storia. Gaddo Flego entra in Rwanda dall’Uganda nel giugno del 1994 e si trova a compiere la sua missione umanitaria, come volontario nelle zone controllate dal Fronte patriottico ruandese. Vi resterà fino a guerra finita. C’erano, in quelle settimane e in quella parte del Paese, pochissimi espatriati. L’eccezionalità di queste pagine è quindi evidente.

MOTIVAZIONE DELLA GIURIA NAZIONALE:
Il Premio Pieve Saverio Tutino 2014 è stato assegnato a Gaddo Flego per Tra i sopravvissuti. Rwanda 1994 (memoria 1994):
Ad appena trentuno anni, ma con una lunga esperienza già maturata in Ciad, l’autore, medico fiorentino al servizio di Medecins sans Frontières, parte per il Rwanda nel giugno del ’94, nella fase più cruenta del genocidio dei Tutsi. Raggiunta la città di Nyamata, un piccolo centro nel sud est del paese che ospita inizialmente circa 8.000 profughi, Gaddo, insieme ad una ridottissima équipe, cerca di riorganizzare il sistema sanitario della zona, muovendosi tra l’ospedale locale, un nuovo ambulatorio e tre orfanotrofi di fortuna aperti per far fronte agli arrivi sempre più massicci dei profughi. La sua memoria racconta, con uno stile severo, asciutto e quasi cronachistico, una esperienza che lo porta quotidianamente a contatto con la sofferenza, l’ingiustizia, la morte, ma anche con le contraddizioni delle organizzazioni non governative. Senza mai cedere alla retorica del dolore e al cosiddetto “protagonismo umanitario” il testo ha il merito di offrire uno sguardo di prima mano sul genocidio dei Tutsi e di superare la logica dominante, fino allo scorso decennio, della equidistanza tra le due forze in campo. Tra le pagine della memoria affiora anche la denuncia esplicita del ruolo ambiguo e reticente svolto dalle grandi potenze europee, preoccupate non tanto di fermare il genocidio, quanto di preservare l’incolumità degli occidentali.