“Postumia li 1.5.940
Carissimi anche in questoggi vengo a inviarvi le mie notizie come per il presente mi trovo in perfettima salute e così spero che sia di voi tutti quindi in questi giorni vi ò inviato diverse cartoline ma spero che vi siano giunte dove vi ò dato le mie notizie ogni giorno donque riguardo al mio andamento siamo sempre nel solito posto ansi come ci avevo detto che siamo ancora fermi causa della neve ormai sono tre giorni che nevica ma oggi pare che vada a smettere ogni tanto smette e poi ricomincia ma io dico che in questa notte smette del tutto sicche si doveva rientrare il giorno tre o il quattro ma invece bisogna aspettare che rimbertempisca e che vada via la neve e quando la stagione lo permette allora torneremo ma per il momento bisogna stare qui […]“
“Inviandovi questi pochi righi…”. Con questa formula, e con altre simili, si aprono alcune decine di lettere spedite dal caporal maggiore Gino Mancini alla moglie, e alla famiglia, durante la Seconda guerra mondiale. Fino al luglio del 1942 Gino, nato a Vinci in provincia di Firenze, scrive principalmente da Cormons, in Friuli, dove è di stanza in caserma in attesa di una chiamata per il fronte. Fanno tenerezza alcune riflessioni che in questo periodo condivide con i propri cari, che hanno al centro la chiamata alle armi, posta sul piatto della bilancia con il bene più prezioso della vita, la salute. Mancini passa le visite mediche. E parte per la Russia. Ci anno mandato quà, anche noi quando c’è il bisogno di soddisfare al nostro compito assegnato bisogna combattere. Combattere e morire, perché Gino non tornerà mai a casa. Dal 12 gennaio 1943 risulta disperso sul fronte russo.