“Ferravm. 23-3-1942 Lunedì
Dall’inizio della guerra ho sempre voluto scrivere il diario giornaliero, ma o per pigrizia o per lavoro non ho mai potuto incominciarlo. L’avevo incominciato il giorno della nostra partenza da Tripoli (13 gennaio, martedì ore 16) giorno fatidico che non dimenticherò mai in vita mia. Abbiamo fatto un viaggio pessimo come comodità e bello come mare. L’unico inconveniente piuttosto spaventoso è stato l’incontro con tre grosse mine. Tutto il tragitto l’abbiamo fatto con le cinture di salvataggio addosso. […]”
Una pagina di storia nascosta, di violenza non acuta ma profonda, di privazione della libertà, della normalità. Delle radici. È quella che racconta nei suoi diari Olga Mefalopulos, una ragazza di 16 anni nel 1942, nata a Tripoli in Libia in una famiglia di origine greca. La Libia, colonia italiana che nel 1942 è terreno di conquista delle truppe Alleate in azione nel Nord Africa. La Grecia, che nel 1942 è sotto l’occupazione italiana. Due fattori che determinano la scelta del regime fascista di internare, in Italia, i civili greci residenti sul suolo libico. In 120 vengono destinati al più grande campo di concentramento costruito nella Penisola, quello di Ferramonti di Tarsia in provincia di Cosenza. La reclusione provoca sofferenze, ma Olga riesce a costruirsi una quotidianità apparentemente normale, fatta di amicizie e amori, di giochi e vita familiare. Altrettanto avviene nelle successive località dove viene trasferita con la famiglia, sempre sotto sorveglianza, a Chieti e Guardiagrele in Abruzzo. Fino alla svolta dell’8 settembre 1943, che Olga accoglie con tripudio. Son state dettate le clausole che determinano l’armistizio: Liberazione dei prigionieri e degli internati! Siamo liberi! Non più controllati, non più comandati, non più ostacolati ma liberi, liberi, liberi! Come per tutta l’Italia, la vera libertà arriverà molto tempo dopo, non prima di aver vissuto i bombardamenti alleati, e lo sfollamento verso le montagne abruzzesi.