“21 Agosto 1917
Carissimi
Dopo un viaggio delizioso per la comodità e amaro per i rimpianti giungemmo col treno a Bassano. Mi affligge il pensiero costante di rimanere lontano da voi – se allorquando ero vicino a voi mi fossi allontanato meno… forse ora avrei meno rammarico! Spero di essere perdonato.
So che vicino a me si trova il nostro cugino Paolo Falciola, più insù. Iscriverò più lungo appena al mio posto. Voi a Canneto riposate e pensate ogni tanto al vostro Franco che vi vuole tanto bene. Saluti e bacioni a tutti: è innato il desiderio di pensare ai fatti che hanno avuto tanto importanza sul nostro destino. Vi abbraccio intanto, vostro
FRANCO […]”
Lirismo e morte. Le lettere spedite dall’artigliere Franco Bermond dall’Altipiano di Asiago a casa, dall’agosto al dicembre 1917, prima di morire colpito da schegge di granata, sono sublimi nello stile ed esemplari nei contenuti. Distillato di epica e orrore della Prima guerra mondiale, Franco non manca mai di esprimere l’amore per i suoi cari, che cerca sempre di rassicurare sulle sue condizioni.
Il sommo tema e indicibile, Franco lo indaga e risponde illuminante. La morte? Una preoccupazione o una pallottola che tutti ritengono colpisca solo i vicini, e che poi, quando ci si è formato con orgoglio la convinzione della invulnerabilità, colpisce anche l’uno dei tutti. Ad ogni modo la si prende di fronte; e non fa paura. Molti pregustano con spasimo la sensazione della morte; ciò crea il dolore voluto dall’uomo, perché, se la morte dà un’impressione la dà certo troppo tardi. E poi, la nostra condizione soggettiva le muta sovente aspetto. Ora, per esempio, sono ilare e la sfiderei serenamente; qualche volta, col ricordo che rimpiange nel cuore e l’infelicità nell’anima s’invoca; in un momento di debolezza la si teme; e nei lunghi periodi di saggezza la si attende senza meraviglia.
Due ore dopo aver scritto questa lettera, Franco è stato colpito a morte.